Una verità irrisolta

Una verità irrisolta
ispirazione quindi impegno

lunedì 13 dicembre 2010

VATICANO - Verso la canonizzazione del beato mons. Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani

VATICANO - Verso la canonizzazione del beato mons. Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Il Santo Padre Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione di alcuni Decreti, il primo dei quali riconosce un miracolo attribuito all’intercessione del Beato Guido Maria Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani. “Il prossimo passo – scrive p. Rino Benzoni, Superiore Generale dei Missionari Saveriani - sarà il Concistoro pubblico in cui il Papa chiederà l’opinione dei Cardinali per la canonizzazione del Beato, definendone anche la data. Ringraziamo il Signore di questo fatto ‘per noi argomento non dubbio della santità ed opportunità della Istituzione alla quale abbiamo dato il nome’ (LT 1), oltre che della grandezza del nostro Padre e Fondatore Mons. Guido M. Conforti. Ci prepariamo fin d’ora al grande evento con la preghiera ma soprattutto con un rinnovato impegno per la nostra stessa santificazione nella fedeltà crescente alla missione che il Signore ci ha trasmesso attraverso Mons. Conforti.”
Guido M. Conforti nacque vicino a Parma il 30 marzo 1865. Entra in seminario a 11 anni, una seria malattia mette in forse la sua ordinazione e gli preclude la vocazione missionaria. Sostenuto dal rettore Don Andrea Ferrari (in seguito Cardinale Arcivescovo di Milano, beatificato nel 1987), nel 1888 è ordinato sacerdote. Non ancora trentenne è nominato Vicario generale. Nel 1895, incoraggiato dal suo Vescovo e dal prefetto di Propaganda Fide, fonda la Congregazione di S. Francesco Saverio per le Missioni Estere (Missionari Saveriani). Nel 1899 invia in Cina i primi due missionari. Nel 1902, a 37 anni, è Arcivescovo di Ravenna, incarico che lascia per gravi problemi di salute nel 1904. Nel 1907 Pio X lo nomina Vescovo di Parma, diocesi che guiderà per 24 anni.
Svolge nel contempo una grande attività per sostenere il crescente spirito missionario della Chiesa Italiana. Nel 1916 collabora con Padre Manna alla fondazione della Pontificia Unione Missionaria del Clero di cui diviene il primo presidente. Invia vari missionari in Cina dove egli stesso si reca in visita nel 1928. Muore a Parma il 5 novembre 1931. Viene beatificato a Roma il 17 marzo 1996. I Missionari Saveriani, nati con l'unico scopo di annunciare il Vangelo a chi ancora non lo conosce, sono attualmente 832 (di cui 652 sacerdoti) presenti in 173 comunità. (S.L.) (Agenzia Fides 13/12/2010)

venerdì 10 dicembre 2010

Il grande esodo verso la Chiesa cattolica

di Andrea Tornielli
07-12-2010

C’è voluto un anno esatto, ma ora i primi frutti si cominciano a vedere. Lo scorso 8 novembre, infatti, cinque vescovi anglicani hanno reso nota la loro decisione di entrare in comunione con la Chiesa cattolica secondo le modalità previste dalla Costituzione Anglicanorum coetibus, promulgata da Benedetto XVI proprio un anno fa. Domenica 19 settembre, incontrando i vescovi britannici nella cappella dell’Oscott College a Birmingham, il Papa aveva accennato alla Costituzione, definendola «un gesto profetico che può contribuire positivamente allo sviluppo delle relazioni fra anglicani e cattolici. Ci aiuta a volgere lo sguardo allo scopo ultimo di ogni attività ecumenica: la restaurazione della piena comunione ecclesiale nel contesto della quale il reciproco scambio di doni dai nostri rispettivi patrimoni spirituali, serve da arricchimento per noi tutti».

Qualche settimana dopo quell’auspicio è diventato realtà. I cinque presuli anglicani sono il vescovo di Ebbsfleet, Andrew Burnham; il vescovo di Richborough, Keith Newton (le cui diocesi sono suffraganee dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams); il vescovo di Fulham e ausiliare di Londra John Broadhurst, e i vescovi emeriti Edwin Barnes e David Silk, attualmente assistenti onorari dei vescovi di Winchester ed Exeter. Insieme a loro intendono entrare nella comunione con la Chiesa cattolica circa cinquecento fedeli.

Le motivazioni della loro decisione sono le stesse che negli ultimi anni hanno provocato tensioni e divisioni all’interno della comunione anglicana, mettendo sempre più a disagio l’ala più fedele alla tradizione: vale a dire le svolte «liberal» della comunità anglicana, l’ultima delle quali è la decisione di aprire alle donne l’accesso all’episcopato.

Il passaggio formale, con la costituzione di un nuovo Ordinariato anglo-cattolico avverrà all’inizio del 2011. I cinque vescovi anglicani, essendo tutti sposati, non potranno essere nuovamente consacrati vescovi nella Chiesa cattolica, saranno invece ordinati sacerdoti. Com’è noto, la Santa Sede ha dei dubbi sulla continuità della successione apostolica nella Chiesa anglicana e dunque sulla validità delle ordinazioni anglicane: per questo preti e vescovi che in passato si sono individualmente avvicinati al cattolicesimo, come ora coloro che costituiranno un ordinariato, devono essere nuovamente ordinati. Uno dei cinque ex vescovi anglicani dovrà svolgere la funzione di ordinario. E dunque, pur diventando soltanto prete cattolico e non vescovo, a motivo del suo matrimonio, svolgerà di fatto funzioni vescovili per quanto riguarda la giurisdizione: sarà cioè a tutti gli effetti a capo dell’ordinariato, farà parte della conferenza episcopale cattolica inglese, sarà l’autorità referente per la Santa Sede.

La novità più significativa sarà questa: per la prima volta entrerà a far parte di una conferenza episcopale di una Chiesa cattolica di rito latino un ordinario sposato. Com’è noto, il clero uxorato esiste già nella Chiesa cattolica, nelle comunità orientali in comunione con Roma. Nella Chiesa cattolica di rito latino esistono dei singoli casi di ex pastori o ex preti anglicani che sono approdati al cattolicesimo e sono stati ordinati sacerdoti pur non essendo celibi. Ora per la prima volta questo avverrà anche per un ordinario, un prete che pur non essendo vescovo, avrà alcuni dei poteri vescovili. Ciò non va considerato come una rinuncia della Chiesa alla legge del celibato, la cui validità anche di recente Benedetto XVI ha riaffermato e che sarà fatta valere anche per i futuri preti anglo-cattolici.

Molte altre comunità anglicane del mondo si stanno muovendo per creare ordinariati, come si legge in un documento del primate della TAC, la Traditional Anglican Communion, che annuncia la richiesta di istituirne uno in Australia. Nel documento, oltre a invitare alla preghiera per il Papa, il primate della TAC, John Hepworth, spiega che nuovi ordinariati nasceranno negli Stati Uniti, dove già 51 preti anglicani hanno chiesto di entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Su questa scia si muovono anche vescovi a Puerto Rico e nell’america centrale, tre vescovi anglicani canadesi (seguiti da 43 preti) e si segnalano richieste anche in Giappone.

Ora è certo, la Madonna è apparsa negli Stati Uniti

di Massimo Introvigne
10-12-2010

Il decreto di approvazione – letto dal vescovo diocesano nella data molto significativa dell’8 dicembre 2010 – delle apparizioni della Madonna a Champion, nel Wisconsin, avvenute nel 1859, costituisce un evento storico: si tratta della prima apparizione mariana che l’autorità ecclesiastica riconosce negli Stati Uniti, dove ce ne sono state decine che la Chiesa non ha approvato o su cui mantiene riserve.

Il gesto di monsignor David Ricken, vescovo di Green Bay – una cittadina, di cui Champion è un sobborgo, nota a tutti gli americani soprattutto per la sua leggendaria e pluriscudettata squadra di football, i Green Bay Packers – s’inquadra in un clima diverso da quello di venti o trent’anni fa. Oggi le apparizioni mariane non solo sono oggetto di studi accademici rispettosi anche da parte di studiosi non cattolici ma sono state commentate dal Papa, nei suoi viaggi a Lourdes e a Fatima, con un’esegesi minuta dei testi e delle parole di solito riservata ai testi biblici. Anche la Chiesa americana è molto cambiata: dopo l’ubriacatura progressista e la crisi dei preti pedofili – che hanno portato molti ad abbandonare il cattolicesimo –, chi è rimasto si è spesso stretto intorno al Papa e al suo insegnamento, anche in materia di apparizioni mariane. Il vescovo di Green Bay ci assicura dunque che sì, la Madonna è stata in America.

È successo nel 1859, una data molto significativa perché segue di un anno le apparizioni di Lourdes. La veggente, come a Lourdes, è una ragazza povera, Adele Brise (1831-1896), nata in Belgio a Dion-le-Val, nel Brabante, figlia di immigrati e priva di un occhio che aveva perso in un incidente da bambina. A suor Pauline LaPlante (1846-1926), l’amica del cuore che darà vita con lei alla famiglia religiosa delle Bay Settlement Sisters, dove anche Adele diventerà suora dedicandosi all’educazione dei bambini di lingua francese fino alla morte, la giovane immigrata belga racconterà più volte i fatti.

Adele vide la Madonna, un’apparizione splendente vestita di bianco, due volte nella stessa settimana, la seconda la domenica 9 ottobre 1859, mentre attraversava una zona boschiva per recarsi alla Messa. Entrambe le volte si spaventò e scappò via, senza avere il coraggio di parlare all’apparizione. Dopo la Messa, il suo confessore la incoraggiò a chiedere alla signora vestita di bianco chi fosse. Così – sempre il 9 ottobre 1859 – tornando a casa, quando nello stesso posto le apparve di nuovo – per la terza volta – la signora, Adele trovò il coraggio d’iniziare un dialogo. La signora rivelò allora la sua identità: «Sono la Regina del Cielo che prega per la conversione dei peccatori, e desidero che tu faccia lo stesso. Hai ricevuto la Santa Comunione questa mattina e questo va bene, ma devi fare di più. Fai una confessione generale e offri la Comunione per la conversione dei peccatori. Se non si convertono e non fanno penitenza, mio Figlio si vedrà costretto a punirli».

A una ragazza che accompagnava Adele e che affermava di non vedere la signora, la Madonna rispose con le parole di Gesù all’apostolo Tommaso: «Beati coloro che credono senza vedere», aggiungendo: «Che fai qui in ozio mentre le tue compagne lavorano nella vigna di mio Figlio?». L’allusione era alle parrocchiane dell’area di Green Bay che iniziavano a riunirsi per insegnare il catechismo ai bambini, nucleo della futura famiglia religiosa. Ad Adele la Madonna raccomanda l’educazione: «Riunisci i figli di questo Paese selvaggio e insegna loro quello che dovrebbero sapere per salvarsi. Insegna loro il catechismo, come fare il segno della croce e come avvicinarsi ai sacramenti; è questo che voglio che tu faccia».

Le parole della Madonna a Champion s’inseriscono nella linea delle altre apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa, che formano un insieme coerente. Come a La Salette, la Madonna accenna a punizioni divine cui «mio Figlio si vedrà costretto» se i peccatori «non si convertono e non fanno penitenza». Come a Fatima, chiede le preghiere anzitutto degli umili e dei semplici per la conversione dei peccatori. Come nelle apparizioni in Belgio a Beauraing e a Banneux – e anche a Champion la Vergine appare a una ragazza belga – Maria proclama la sua regalità.

Ma il tema specifico delle apparizioni di Champion è l’educazione, anzitutto quella cattolica. La Madonna invita ripetutamente Adele e le sue compagne a educare «i figli di questo Paese selvaggio». È stato uno dei grandi temi del viaggio di Benedetto XVI negli Stati Uniti nel 2008. La nazione nuova – in questo senso «selvaggia» – degli Stati Uniti ha potuto costruirsi solo con l’educazione, cui i cattolici hanno dato un decisivo contributo. E potrà sopravvivere solo con l’educazione. Purché, ha detto il Papa – ma non altro è il messaggio a Champion della Madonna – l’educazione cattolica sia davvero cattolica e abbia al centro il catechismo, la fede, i sacramenti. Tutto il resto è «ozio».

giovedì 9 dicembre 2010

ASIA/HONG KONG - “Cercare Dio nella cultura”: Seminario dei gesuiti di Hong Kong per commemorare p. Matteo Ricci
Hong Kong (Agenzia Fides) – “Cercare Dio nella cultura” è il tema del Seminario promosso dai gesuiti di Hong Kong, dal 2 al 5 dicembre, per commemorare i 400 anni della morte del loro confratello, il missionario padre Matteo Ricci. Mons. John Tong, Vescovo della diocesi di Hong Kong, ha preso parte al Seminario presiedendo anche l’Eucaristia dell’apertura. Secondo il Vescovo, “l’evangelizzazione di p. Ricci è sostenuta dalla profonda vita contemplativa, vale dire è un complemento armonico tra vita contemplativa ed azione”. Quindi ha incoraggiato la missione dell’evangelizzazione di oggi: essa deve essere concentrata ed accompagnata da una intensa vita spirituale contemplativa, perché “la riflessione e la contemplazione di danno la forza del servizio”. “In questo modo viviamo autenticamente lo spirito Ricciano” ha sottolineato Mons. Tong.
Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese), oltre 300 partecipanti provenuti da luoghi diversi come Hong Kong, Taiwan, Inghilterra, Australia, India, Vietnam hanno partecipato al Seminario ed anche ai workshop spirituali nel Centro di Spiritualità di S. Ignazio. Tra loro erano presenti p. L. Gendron, superiore provinciale della provincia cinese dei gesuiti, molti superiori delle comunità asiatiche dei gesuiti insieme a gesuiti, esperti di spiritualità e fedeli laici che hanno fatto esperienza degli esercizio spirituali di S. Ignazio. (NZ) (Agenzia Fides 09/12/2010)

La Giornata per i Diritti Umani 2010

ASIA/PAKISTAN - La “legge sulla blasfemia” al centro della Giornata per i Diritti Umani
Karachi (Agenzia Fides) – “La Giornata per i Diritti Umani 2010 è l’occasione per focalizzare l’attenzione sugli articoli del Codice Penale che costituiscono la cosiddetta legge sulla blasfemia. La legge è una patente violazione dei diritti umani, consentita e legittimata dallo stato. E’ un provvedimento che permette e giustifica ingiustizie, discriminazioni e persecuzioni. E’ una legge da abolire”: è quanto dichiara all’Agenzia Fides p. Mario Rodrigues, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, alla vigilia della Giornata Mondiale per i Diritti Umani, promossa dall’Onu, che si celebra domani, 10 dicembre. La Giornata, nota a Fides il Direttore, “cade in un periodo di grande tensione nel paese, dovuta agli echi del caso di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte proprio per un uso iniquo della legge sulla blasfemia. L’incertezza e le minacce dei gruppi terroristi sono un vero incubo per tutti coloro che difendono la donna”.
“La legge sulla blasfemia – spiega p. Rodrigues – contraddice apertamente la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani, di cui il Pakistan è firmatario. E’ una legge promulgata dal dittatore Zia e mai approvata da alcun Parlamento. Le leggi vano fatte per proteggere i cittadini, non per perseguitarli”, aggiunge.
La legge colpisce le minoranze religiose, ma non solo: “Ne sono vittime anche moltissimi fedeli musulmani”, sottolinea. “Per questo vorrei ricordare quanto affermano eminenti leader islamici moderati: la legge rappresenta un tradimento anche dell’islam, in quanto non è contenuta nel Corano, e il profeta Maometto non vorrebbe certo si commettessero violenze e omicidi in suo nome”.
“Come cristiani del Pakistan, riteniamo importante per la giustizia e la convivenza civile che la legge sia abolita e sosteniamo comunque ogni progetto di revisione”, continua.
La Giornata per i Diritti Umani 2010 è dedicata dall’Onu in particolare agli attivisti e a tutti coloro che si impegnano a difendere e promuovere i diritti umani. P. Rodrigues rimarca: “Pensando alla storia del Pakistan, vorrei dedicarla al Vescovo John Joseph, che vent’anni fa ha lanciato la grande campagna per il rispetto dei diritti umani e delle minoranze religiose nel nostro paese. Siamo tutti eredi e debitori della sua battaglia e del suo coraggio. Vorrei menzionare, inoltre, due alfieri per i diritti umani che oggi continuano quest’opera: P. Emmanuel Mani e Peter Jacob, rispettivamente Direttore e Segretario esecutivo della ‘Commissione missione Nazionale Giustizia e Pace’ dei Vescovi del Pakistan. Sono due persone che, con il coraggio della verità, difendono tutte le vittime degli abusi per i diritti umani, a qualsiasi comunità religiosa appartengono”. (PA) (Agenzia Fides 9/12/2010)

Preghiamo per lui!

AFRICA/CONGO RD - Ucciso un seminarista gesuita in Congo
Kinshasa (Agenzia Fides)- Un seminarista gesuita di nazionalità togolese, Nicolas Eklou Komla, è stato ucciso domenica 5 dicembre sulla strada Belair di Mont Ngafula, alla periferia di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo.
Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, il seminarista stava rientrando a piedi con alcuni colleghi allo scolasticato gesuita “St Pierre Canisius” di Kimwenza, quando un uomo armato e mascherato ha bloccato il loro cammino, probabilmente per rapinarli. Ne è una nata una discussione che è presto degenerata: il bandito ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco che hanno colpito il seminarista, che è deceduto alcune ore dopo.
Nicolas Eklou Komla, era nato il 4 giugno 1985 in Togo, ed era entrato nella Compagnia di Gesù il 7 ottobre 2008. Aveva emesso i primi voti il 2 ottobre 2010. Nicolas Eklou Komla era giunto nella RDC due mesi fa per studiare filosofia.
I funerali del seminarista si terranno l’11 dicembre presso la Chiesa Sainte Marie de Kimwenza. Nicolas Eklou Komla verrà inumato nel cimitero dello scolasticato “St Pierre Canisius”di Kimwenza. (L.M.) (Agenzia Fides 9/12/2010)

mercoledì 1 dicembre 2010

AMERICA/BRASILE - La solidarietà del Papa alla Chiesa di Rio per le violenze dei giorni scorsi

AMERICA/BRASILE - La solidarietà del Papa alla Chiesa di Rio per le violenze dei giorni scorsi
Rio di Janeiro (Agenzia Fides) – La mattina di domenica 28 novembre, l'Arcivescovo di Rio, Mons. Orani João Tempesta ha ricevuto un fax dal Nunzio Apostolico, Mons. Lorenzo Baldisseri, che trasmetteva la solidarietà di Papa Benedetto XVI alla Chiesa di Rio de Janeiro, a firma del Segretario di Stato Vaticano, Cardinale Tarcisio Bertone. Nel testo è scritto: “Il Santo Padre segue con profondo dolore i gravi scontri e le violenze di questi giorni a Rio de Janeiro, in particolare nella comunità "Vila Cruzeiro". Il Sommo Pontefice assicura le Sue preghiere per i defunti e anche per le loro famiglie, e invita i responsabili a porre fine ai disordini, mentre incoraggia a ristabilire il rispetto della legge e del Bene Comune”. Trasmettendo il messaggio del Papa, l’Arcivescovo Baldisseri si unisce nella preghiera “in questa circostanza così dolorosa per la sua arcidiocesi”.
Secondo le ultime informazioni raccolte dall’Agenzia Fides, le favelas di Rio tornate sotto il controllo della polizia, hanno ripreso la loro attività con la presenza degli agenti di polizia nella vita quotidiana della gente. La popolazione prova ancora paura e sfiducia dopo l'espulsione dei trafficanti di droga. Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha annunciato la presenza dei militari per un tempo indefinito nella zona occupata. Resteranno "il tempo necessario per assicurare la pace", ha detto. L’arcivescovo di Rio, Mons. Orani João Tempesta, aveva chiesto pace per la convivenza della città (vedi Fides 27/11/2010). (CE) (Agenzia Fides, 01/12/2010)

giovedì 4 novembre 2010

2 articoli di fides news sulla situazione in Iraq

ASIA/IRAQ - Il vuoto politico genera violenza e insicurezza per i cristiani
Baghdad (Agenzia Fides) – “Come cristiani dell’Iraq dovremo essere molto attenti e prudenti nei prossimi mesi, per vedere se la violenza verso i cristiani finirà e come i problemi della nostra sicurezza e del terrorismo saranno affrontati e risolti. Attualmente il paese non ha un governo e questa è una delle ragioni per cui subiamo questi attacchi: il vuoto politico genera mancanza di sicurezza, il terrorismo approfitta di questa situazione”: è quanto dichiara all’Agenzia Fides l’Arcivescovo Avak Asadourian, Primate della Chiesa Armena Ortodossa in Iraq, e Segretario Generale del “Consiglio dei Leader delle Chiese cristiane dell’Iraq”, che riunisce i capi di 14 chiese cristiane del paese.
All’indomani della strage compiuta il 31 ottobre nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, l’Arcivescovo definisce la situazione attuale dei cristiani, segnata da “lutto, paura e sofferenza”.
Il “Consiglio dei Leader delle Chiese cristiane dell’Iraq”, spiega a Fides l’Arcivescovo, si riunirà ufficialmente nei prossimi giorni “per discutere approfonditamente di tali problemi, per concordare incontri con leader e autorità civili, per decidere insieme i passi da compiere. E’ necessario che i cristiani dell’Iraq si muovano uniti per vivere con fede e speranza in questi tempi molto tristi e difficili”.
“Noi cristiani – continua il Primate – siamo antichi abitanti di questa terra: non solo in Iraq ma in tutto il Medio Oriente la nostra presenza risale a molti secoli fa. In Iraq abbiamo sempre vissuto all’insegna della coesistenza e della fratellanza con le altre comunità religiose. Viviamo insieme da secoli, ma oggi la nostra presenza viene messa in pericolo. Abbiamo contribuito a plasmare e a fecondare questa terra seminando pace, amore, giustizia. E vogliamo continuare a farlo nel futuro”. (PA) (Agenzia Fides 4/11/2010)
top ^
ASIA/IRAQ - “No all’emigrazione dei fedeli”: appello dei politici cristiani
Baghdad (Agenzia Fides) – “Già 4 milioni di iracheni sono all’estero: hanno lasciato un paese che non garantisce prosperità, lavoro, istruzione, un paese dove non c’è pace. Fra loro vi sono molti cristiani. Credo che in tal modo l’Iraq si impoverisca e che si faccia il gioco dei terroristi: chiediamo a tutti i cristiani di non andare via, di resistere e di lottare per la giustizia, per la dignità, per la libertà e per i diritti umani. Sono certo che un domani, quando il paese sarà riconciliato, gli iracheni all’estero e i tanti fedeli cristiani vorranno ritornare nella loro terra”: è l’appello lanciato tramite l’Agenzia Fides da Yonadam Kanna, parlamentare cristiano e Segretario Generale del Movimento Democratico Assiro.
Kanna, che occupa uno dei cinque seggi riservati alle minoranze cristiane nel Parlamento iracheno, nota che “la violenza generalizzata che assedia l’Iraq dipende da molti fattori e soprattutto da forze esterne al paese. Un fattore importante è l’assenza di un governo e la grande incertezza politica che viviamo, a otto mesi dalle elezioni. I cristiani vengono attaccati perché sono i più deboli, i più vulnerabili e le vittime più facili da colpire”.
I politici cristiani, afferma, sono preoccupati soprattutto “ per quelle forze che intendono destabilizzare il paese, distruggerne liberà e democrazia. Va detto che gli estremisti non colpiscono solo le chiese, ma anche altre comunità e la gente comune. Sono atti contro l’umanità, che non hanno nulla a che vedere con la religione”, spiega a Fides.
Kanna conclude: “Oggi la società irachena, l’opinione pubblica, tutti i cittadini con una coscienza rifiutano questa cieca violenza. Ma occorre fare di più per fermarla: urge, ad esempio, migliorare la professionalità delle forze di sicurezza. Per questo, come parlamentari cristiani, ci impegneremo direttamente, cercando di controllare l’iter di reclutamento e formazione delle forze di sicurezza che sono chiamate a proteggere le chiese”. (PA) (Agenzia Fides 4/11/2010)

La più grande arma contro la violenza è il perdono

AFRICA/NIGERIA - “È possibile sconfiggere il male con il bene” scrive l’Arcivescovo di Jos, al centro dei recenti scontri
Jos (Agenzia Fides)- “È stato incredibile vedere quello che la crisi del 17 gennaio 2010 ha provocato negli abitanti di Jos e dintorni. La pazzia, che è stata lasciata libera di agire, ha provocato la distruzione di chiese e moschee, con diverse persone costrette a sfollare perché le loro abitazioni e i loro esercizi commerciali sono stati distrutti” scrive S.E. Mons. Ignatius A. Kaigama, Arcivescovo di Jos, capoluogo dello Stato nigeriano di Pleteau, dove periodicamente esplodono violenti scontri intercomunitari (vedi Fides 25/3/2010), con conseguenze molto pesanti per la popolazione locale. Mons. Kaigama, in un articolo pubblicato localmente e inviato a Fides, ricorda che “le persone hanno visto i risparmi di una vita andare in fiamme e i propri cari mutilati o uccisi. La natura comunitaria della vita familiare è stata turbata quando le famiglie divise dalla crisi sono state costrette a vivere a distanza di chilometri, incontrandosi occasionalmente per curare le proprie ferite, per poi separarsi di nuovo”.
Ma non è sempre stato così, perché come scrive Mons. Kaigama, “senza dubbio, la città di Jos è stata una delle città più tranquille della Nigeria, favorita da un clima sereno e dalle bellezze naturali. Il calore e la generosità della sua gente hanno conquistato molti. Negli ultimi decenni, a causa dello sfruttamento minerario dello stagno, si è creato un mix di attività locali, nazionali ed internazionali, che ha fatto sì che cittadini di diversi Paesi si siano installati a Jos. Non stupisce, che lo Stato stesso avesse adottato il nome di “Casa della pace e del turismo”. Purtroppo, la crisi del 2001 ha creato una diffidenza e un’animosità senza precedenti tra la minoranza costituita dalla comunità di coloni musulmani Hausa / Fulani e la maggior parte degli indigeni cristiani. Prima della crisi, entrambe le comunità condividevano in qualche misura le festività, sociali, religiose e politiche, con poco o nessun pregiudizio o discriminazione”.
La Chiesa cattolica insieme agli uomini di buona volontà di altre fedi cerca di porre fine a questa situazione e di aiutare le vittime delle violenze. L’Arcivescovo di Jos ha ricordato in particolare il suo amico, l’Emiro Haruna Abdullahi di Wase, morto di recente (vedi Fides 6/10/2010), come una delle personalità più impegnate nel costruire ponti tra le diverse comunità dell’area. Oltre alla Chiesa locale, anche la comunità cattolica universale è impegnata ad aiutare gli abitanti dello Stato di Plateau a ritrovare la pace, come testimoniato dalla recente visita a Jos di S.E. il Cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace.
Mons. Kaigama conclude descrivendo la sua visita nel villaggio di Mazah, che era stato attaccato il 17 luglio. “Sono rimasto colpito dagli striscioni con la scritta: “la più grande arma contro la violenza è il perdono”. Cosa c’è di più vero? Il bene può veramente sconfiggere il male, se c’è la volontà”. (L.M.) (Agenzia Fides 4/11/2010)

martedì 26 ottobre 2010

ASIA/INDIA - Accuse di “conversioni forzate”: cristiani percossi e arrestati
New Delhi (Agenzia Fides) – Fedeli cristiani che operano nel sociale, nelle scuole o che predicano il Vangelo sono l’obiettivo privilegiato di gruppi estremisti indù (ma anche buddisti) che li accusano di “conversioni forzate e fraudolente”. Recenti episodi riferiti all’Agenzia Fides riguardano gli stati di Karnataka (India sudoccidetale) e Jammu e Kashmir (India nordoccidentale).
Il 24 ottobre a Bengaluru, in Karantaka, un insegnante cristiano, impiegato nella scuola cattolica della Santa Croce è stato assalito da membri di gruppi estremisti indù che lo accusavano di operare conversioni fra gli studenti. Gli estremisti – proclamatisi vicini al partito nazionalista indù “Baratiya Janata Party”, al governo nello stato – lo hanno bloccato all’uscita di scuola e lo hanno percosso con violenza. I militanti hanno anche chiamato i mass-media locali esponendo le loro accuse e lamentele. L’insegnante si trova in ospedale. Alcuni esponenti del “All India Christian Council”, forum che riunisce leader cristiani di tutte le confessioni, lo hanno visitato, spiegando a Fides che le motivazioni dell’aggressione sono pretestuose e che l’assalto è dovuto solo alla sua fede cristiana.
Sempre in Karnataka, un grave atto di intimidazione ha colpito il Pastore protestante Andrew Mallappa Hanumanthappa, nel villaggio di Bellakatte, sito nel distretto di Chitrdurga . Il 20 ottobre scorso sei militanti radicali lo hanno fermato per strada e lo hanno malmenato. Successivamente si sono recati presso la sala liturgica utilizzata dalla piccola comunità cristiana locale e l’hanno bruciata. La polizia ha arrestato 4 uomini, che sono poi stati rilasciati, grazie all’intervento di influenti politici locali.
Il problema, nota a Fides una fonte nella Chiesa locale, è che “il governo dello stato di Karnataka, in mano al Baratiya Janata Party (BJP), gioca su due tavoli: da un lato dice di voler mantenere ordine, sicurezza e legalità; dall’altro protegge i gruppi fondamentalisti indù (sotto le diverse sigle) che costituiscono la base del proprio elettorato. I cristiani soffrono per le conseguenze di questa ambiguità”.
Le accuse di conversioni, prosegue la fonte, “sono ingigantite con il preciso intento di creare insicurezza e animosità fra le comunità di diverse religioni nei riguardi dei cristiani. Queste accuse sono motivate politicamente”.
In Jammu e Kashmir, invece sei membri della “Sunehara Kal” (“Futuro dorato”), Organizzazione non governativa di ispirazione cristiana, sono stati arrestati il 23 ottobre scorso con l’accusa di aver rapito dei bambini e di volerli convertire al cristianesimo. I piccoli, fra i quali alcuni orfani, sono vittime delle alluvioni che hanno colpito la zona di Leh, e i membri dell’Ong se ne stavano prendendo cura. Come riferito a Fides dal Global Council of Indian Christians (GCIC), associazione che difende i diritti dei cristiani in India, a denunciare alla polizia l’Ong sono stati i membri della “Ladakh Buddhist Association”. Questi hanno convinto alcuni fra i genitori dei ragazzi a dichiarare che i bambini erano stati presi senza il loro consenso. I cristiani locali, deplorando tale atto di disinformazione compiuto dalla “Ladakh Buddhist Association” – che in passato ha già accusato ingiustamente i fedeli cristiani – invitano i buddisti a riflettere sulla loro sofferenza in Tibet, prima di perseguitare i cristiani. (PA) (Agenzia Fides 26/10/2010)

ASIA/PAKISTAN - OMS e Caritas: allarme colera, 99 casi fra i profughi delle alluvioni


Islamabad (Agenzia Fides) – Fra i profughi delle alluvioni scoppia il colera: l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato oggi 99 casi di colera tra le popolazioni sfollate del paese in seguito alle inondazioni. I casi sono stati registrati fra la fine di luglio e la fine di settembre. Inoltre, sono stati riferiti 26 casi e 3 decessi per la febbre emorragica conosciuta come “Crimean-Congo haemorrhagic fever”, e confermati 1.500 casi di dengue, compresi 15 morti. Una missione speciale dell’OMS è iniziata oggi, 26 ottobre, in Pakistan per monitorare la situazione e cercare soluzioni.
Il quadro dell’emergenza sanitaria è confermato all’Agenzia Fides anche dal Segretario Generale della Caritas Pakistan, Anila Gill: “Gli operatori sanitari Caritas che operano fra i profughi nel Sindh e nel Punjab hanno incontrato casi di colera, dengue, malaria e febbre emorragica. Siamo molto preoccupati. Nonostante gli sforzi del governo e delle Ong, siamo alle soglie di un’emergenza sanitaria su vasta scala. Occorre stanziare più fondi per la cura e la prevenzione delle malattie fra gli alluvionati. Altrimenti, alla tragedia dello sfollamento si aggiungerà quella delle epidemie, un colpo tremendo per la società pakistana, già provata dal disastro”. (AP/PA) (26/10/2010 Agenzia Fides)

AFRICA/BENIN - Appello a Fides della Caritas Benin: “Abbiamo bisogno urgente di vivere e medicinali”



Cotonou (Agenzia Fides)- “Abbiamo bisogno urgente di medicinali e di viveri per soccorrere la popolazione colpita dalle alluvioni” dice a Fides suor Léonie, Segretario Generale della Caritas Benin.
“La Caritas ha mobilitato le Caritas parrocchiali per distribuire i viveri agli sfollati. La Caritas del Benin, insieme ad altre organizzazioni, è stata incaricata dal governo di coordinare gli aiuti nelle zone colpite” dice suor Léonie. “Abbiamo lanciato un appello tramite la rete di Caritas Internazionalis per l’invio in Benin di medicinali e di viveri. Caritas Germania e il Secours Catholique della Francia hanno promesso di aiutarci”.
“Abbiamo registrato finora 846 casi di colera, di cui 7 mortali. Vi sono inoltre malaria e diarrea. Abbiamo bisogno di farmaci per curare questa malattie, degli insetticidi e delle reti di protezione contro le zanzare anofele” dice suor Léonie.
Secondo l’Ufficio per gli Affari Umanitari dell’ONU, le inondazione in Africa occidentale e centrale hanno provocato almeno 400 morti e colpito 1 milione e mezzo di persone, dall’inizio delle stagioni delle piogge a giugno. (L.M.) (Agenzia Fides 26/10/2010)

AFRICA/CONGO RD - Si prepara una nuova guerra nel nord Kivu?



Kinshasa (Agenzia Fides)- Una nuova guerra nell’est della Repubblica Democratica del Congo è alle porte? È quanto si chiedono i missionari della “Rete Pace per il Congo” che riferiscono a Fides alcune indicazioni apparse sulla stampa internazionale su una possibile inedita alleanza tra forze dissidenti rwandesi e milizie congolesi per rovesciare il governo del Presidente Paul Kagame in Rwanda.
“Incrociando le informazioni apparse sia sulla ‘Libre Belgique’ sia sul ‘Congo Tribune’, nel nord Kivu, nell’est della RDC, si starebbero concentrando le forze della coalizione composta dai dissidenti del CNDP rimasti fedeli a Nkunda, dalle FDLR e dai Mai Mai congolesi” spiegano a Fides i responsabili della Rete. Il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) è un movimento ribelle congolese, guidato da Laurent Nkunda, che agisce nel Kivu. Dopo l’arresto di Nkunda da parte del Rwanda (dove è stato posto agli arresti domiciliari), il CNDP ha raggiunto un accordo con il governo di Kinshasa, e una parte dei suoi uomini sono stati integrati nell’esercito nazionale congolese. Le Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda (FDLR) sono un gruppo ribelle rwandese, composto in maggioranza di hutu, che dopo il 1994 si oppone al governo di Kigali. Opera però nel Kivu, così come i Mai Mai, una serie di milizie di autodifese congolesi, che si oppongono alla presenza straniera sul loro territorio. La coalizione anti Kagame sarebbe guidata dal generale Faustin Kayumba Nyamwasa, ex capo di Stato Maggiore dell’esercito rwandese, e compagno d’armi di Kagame, da qualche tempo rifugiatosi in Sudafrica, dove è sfuggito ad un tentativo di assassinio. Il governo rwandese lo accusa di essere il mandante di una serie di attentati commessi a Kigali.
Per bloccare sul nascere questa coalizione, il governo del Rwanda e quello della RDC starebbero preparando un’offensiva militare nel nord Kivu contro le FDLR e gli uomini di Nkunda. Vi sono voci non confermate dell’invio nell’est del Congo di truppe rwandesi in preparazione della nuova offensiva in coordinamento con l’esercito congolese.
“Il generale Nyamwasa- ricordano le fonti di Fides- è figlio di genitori tutsi e hutu. Questo potrebbe essere visto da qualche potenza, che vorrebbe sostituire Kagame, come un fattore di riconciliazione nazionale, in vista forse di nuovi scenari geopolitici regionali e internazionali”.
“Nyamwasa, però- aggiungono le nostre fonti- ha un grave handicap. È ricercato dalla giustizia spagnola per la morte dei frati maristi spagnoli, uccisi a Bukavu nel novembre 1996”. (L.M.) (Agenzia Fides 26/10/2010)

sabato 2 ottobre 2010

Suore in azione!

ASIA/PAKISTAN - L’assistenza medica ai profughi migliora, anche grazie alle suore
Lahore (Agenzia Fides) – “Nel campo dell’assistenza medica, la situazione generale va migliorando, anche se ancora molti profughi, nelle aree remote, restano esclusi dagli aiuti ed esposti a malattie. Nell’opera della Caritas, un aiuto decisivo viene dalle suore: molte religiose di numerose congregazioni sono in prima linea nella cura dei malati”: è quanto dichiara all’Agenzia Fides Anila Gill, Segretario Esecutivo della Caritas Pakistan, in un aggiornamento sulla situazione degli aiuti umanitari ai rifugiati.
Anila Gill spiega a Fides: “Per quanto riguarda l’opera della Caritas Pakistan, curiamo la situazione sanitaria di oltre 5.000 famiglie in 7 diocesi del paese. Vorrei segnalare l’impegno instancabile di centinaia di religiose che stanno lavorando nei campi medici: grazie a loro migliaia di profughi, di tutte le religioni, ricevono cure mediche. I più vulnerabili sono donne e bambini. Stiamo facendo il possibile, e cominciano a vedersi i primi buoni risultati. Ma molti sfollati sono ancor tagliati fuori da ogni assistenza. Non possiamo fermarci”.
Le epidemie sono considerate dagli esperti spesso “inevitabili”, quando si affrontano disastri umanitari su vasta scala, come quello delle inondazioni che hanno colpito oltre 20 milioni di persone in Pakistan. Il governo ha diffuso, in proposito, notizie rassicuranti, affermando che, grazie all’azione congiunta di strutture mediche governative private, “la performance sanitaria nel dopo alluvioni costituisce un successo”. Tanto che, per ora, si è riusciti ad evitare nella provincia di Punjab epidemie di malaria e colera. “Vi sono invece casi di scabbia e gastroenterite, ma la situazione è sotto controllo”, ha dichiarato Muhammad Saeed Amir, direttore del Dipartimento di Sanità di Muzaffargarh, in Punjab.
Grazie alla proficua collaborazione fra settore pubblico e Ong private, internazionali e locali, è stata lanciata una vasta campagna di vaccinazioni che sembra aver dato buoni risultati. Solo nel distretto di Muzaffargarh, 80 team medici hanno trattato e curato oltre 600mila pazienti. Sono impegnati sul terreno enti come World Health Organization, Unicef, Rabta Aalam-e-Islami, Muslim Aid, MERLIN (Australia), MSF-Francia, ADRA (Regno Unito), Islamic Help (Regno Unito) e team medici provenienti da Germania, Giappone, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Australia.
Allo sforzo partecipa anche l’esercito, che offre nel settore sanitario standard di altissimo livello: l’esercito lavora con oltre 40 campi medici nelle zone colpite, curando 5.000 pazienti a settimana. I veterinari militari, inoltre, hanno vaccinato oltre 65 milioni di capi di bestiame in Sud Punjab.
Un importante contributo di volontari e di medicinali è giunto anche da associazioni professionali come Pakistan Medical Association (PMA), Pakistan Islamic Medical Association (PIMA), Famid Foundation. (PA) (Agenzia Fides 2/10/2010)

venerdì 1 ottobre 2010

XXI Convegno missionario diocesano.



Acqua, bene comune da difendere   
Sabato 2 ottobre a Udine il XXI Convegno missionario diocesano.
Relatore mons. Luigi Infanti, vescovo di Aysen (Cile), originario di Teor

UDINE(1 ottobre, ore 12) - Domani, a partire dalle ore 16, nella sala «Paolino d’Aquileia» a Udine (in via Treppo 5/B) si terrà l’annuale Convegno missionario diocesano che quest’anno invita le comunità a riflettere sul tema “Acqua viva per tutti i popoli. Vangelo, acqua e beni comuni”. Animerà la riflessione  e il confronto mons. Luigi Infanti Della Mora, friulano, precisamente di Campomolle di Teor, attuale vescovo di Aysén nella Patagonia cilena, che proprio su questo tema ha scritto una Lettera pastorale “Dacci oggi il nostro pane” recentemente pubblicata in Italia dalla Emi (Editrice missionaria italiana). Una lettera che è un atto di accusa contro la privatizzazione e la mercificazione dell’acqua, che nella diocesi di Aysén, in Patagonia si traduce nel progetto di 5 grandi centrali idroelettriche, nel quale è coinvolta anche l’italiana Enel. Ma anche una profonda riflessione evangelica sul significato dei «beni comuni» che il Signore ha affidato all’umanità intera senza distinzioni e sulla giustizia nella distribuzione delle risorse planetarie.

“Il tema che affronteremo nel Convegno – spiega il direttore del Centro missionario diocesano, don Luigi Gloazzo – ci interroga profondamente sull’uso che facciamo di un dono così grande, come quello dell’acqua, e pone una più ampia questione, di grande attualità anche qui in Friuli, sulla natura del rapporto tra l’uomo e il creato. Infine ci interpella sulla nostra responsabilità di cristiani rispetto ai beni che la terra ci dona e alla loro equa distribuzione perché a nessuno sia negato il diritto alla vita”.

Il programma del convegno prevede alle 16 il saluto del vicario generale dell’Arcidiocesi, mons. Guido Genero, alle 16.30 l’intervento di mons. Luigi Infanti sul tema «Acqua viva per tutti i popoli». Alle 18 inizierà il dibattito tra i partecipanti. L’incontro si concluderà alle ore 19.

Il Convegno missionario costituisce un momento importante che mette in profonda comunione i partecipanti con tutti quei preti, religiose, religiosi e laici che dalla diocesi di Udine sono partiti per il mondo, segno chiaro della dimensione missionaria della Chiesa. Sono ben 235; precisamente 73 in America del Sud e del Nord, 36 in Africa, 19 in Asia, 1 in Medioriente, 2 in Oceania e 104 in Europa.
Il convegno è aperto a tutti.

martedì 28 settembre 2010

"Insieme verso Luján"


AMERICA/ARGENTINA - Pellegrinaggio “mediatico”: un milione e mezzo di giovani a piedi verso la Madonna di Lujan seguiti via web
Luján (Agenzia Fides) – Sabato prossimo, 2 ottobre, in Argentina si svolgerà il 36mo. Pellegrinaggio Giovanile verso Lujan, che si svolge tutti gli anni, ma che questo anno conterà su una maggiore partecipazione perché sarà accompagnato spiritualmente da moltissima gente attraverso il web. Secondo le informazioni inviate all’Agenzia Fides, il 2 ottobre a partire dalle ore 22 (in Argentina) sarà trasmesso il programma "Insieme verso Luján" attraverso la "Catena Mariana della Fede", di cui fanno parte 81 emittenti (AM e FM) che coprono l'intero territorio argentino, e anche da oltre 30 siti internet visibili da tutto il mondo attraverso il web.
Il 36° Pellegrinaggio dei Giovani "a piedi verso Lujan" con lo slogan: "Madre, vogliamo una patria per tutti", è l'evento religioso più importante dell’Argentina, e riesce a radunare annualmente più di un milione di giovani che camminano per circa 60 Km. verso la Basilica nazionale di Nostra Signora di Luján, patrona di Argentina, Cile, Uruguay e Paraguay.
Con i telefoni cellulari in diretta per tutta la notte, il programma coinvolgerà anche i Vescovi delle diocesi attraversate dai pellegrini, mentre dagli studi verrà presentato un programma speciale su Nostra Signora di Luján, la sua storia, i suoi miracoli, ecc. e su temi attuali come la difesa della vita, della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna. (CE) (Agenzia Fides, 28/09/2010)

Caso Ayodhya in India

ASIA/INDIA - "Caso Ayodhya": 8.000 arresti per prevenire violenze, verdetto il 30 settembre
New Delhi (Agenzia Fides) – La polizia indiana in Uttar Pradesh è in stato di massima allerta per prevenire incidenti e violenze, mentre la Corte Suprema, nell’udienza di oggi, 28 settembre, ha rigettato la richiesta di ulteriori rinvii per il verdetto sul caso di Ayodhya (vedi Fides 24/9/2010). La Corte Suprema ha stabilito che la sentenza sarà emessa il 30 settembre alle ore 3.30 p.m., ora locale
Il processo, in corso presso il tribunale di Allahabad, riguarda un terreno conteso fra la comunità indù e quella musulmana. Sul terreno sorgeva, fino al 1992, la moschea di Babri, rasa al suolo da estremisti indù che rivendicavano un antecedente tempio del dio Rama nello stesso luogo. Il caso, che allora sfociò in aperte violenze e 2.000 morti, crea ancora oggi forti tensioni sociali e preoccupazioni alle autorità indiane, che temono nuove esplosioni di violenza interreligiosa.
Per monitorare la situazione nelle principali città dell’Uttar Pradesh, il Ministro degli Interni della Federazione indiana, P. Chidambaram, ha incontrato i vertici civili e militari dello stato. Le forze di sicurezza hanno lanciato una vasta campagna preventiva, arrestando complessivamente nelle città e nei piccoli centri dello stato, oltre 8.000 elementi estremisti, considerati “antisociali”, e potenziali provocatori di scontri interreligiosi. Inoltre, circa 55mila uomini, su invito delle autorità e della polizia, hanno sottoscritto un documento in cui si impegnano a non arrecare disturbi alla pace sociale nei prossimi sei mesi.
Attualmente le forze di polizia pattugliano tutto il territorio e controllano specialmente l’area di Malwa e alcuni quartieri intorno a Bhopal, Jabalpur e Sagar, identificati come aree particolarmente esposte a rischio di violenze. In tali località molti esercizi commerciali restano chiusi per timore di disordini.
Le misure di sicurezza sono state estese anche alla telefonia e all’informatica: fino al 30 settembre sono disattivati su tutti i telefoni cellulari i messaggi collettivi tramite SMS e MMS, utilizzati in passato come strumenti per diffondere velocemente appelli e convocare manifestazioni violente.
Nel frattempo dalla società civile dell’Uttar Pradesh si levano voci e parole di pace: molte Ong locali riferiscono a Fides che “la società è più matura rispetto a 20 anni fa. Oggi i giovani sono consapevoli che dietro il caso di Ayodhya vi era un gioco e un calcolo politico, e che occorre rispettare il verdetto della Corte, quale esso sia”.
Anche i leader religiosi sono scesi in piazza in un corteo pacifico tenutosi ieri a Jaipur (località nello stato di Rajastan, al confine con l’Uttar Pradesh), proclamando per le strade il loro comune desiderio di pace e di riconciliazione. Il corteo, a cui hanno partecipato leader indù, musulmani, buddisti e cristiani, ha coinvolto anche le autorità civili e cittadini comuni, per dare “un messaggio di pace e di armonia a persone di tutte le religioni”. S. Ecc. Mons, Oswald Lewis, Vescovo di Jaipur, ha dichiarato a Fides: “I fedeli cattolici hanno preso parte al corteo con tutto il cuore : vogliamo costruire la pace nella nazione e pregare per la pace. Diciamo a tutti che la pace nel paese è un bene più importante di un pezzo di terra. Nei rapporti con indù e musulmani, cerchiamo di favorire il dialogo interreligioso e di cogliere le opportunità per coltivare l’amicizia e l’armonia”. (PA) (Agenzia Fides 28/9/2010)
top ^
ASIA/INDIA - Scheda - Ayodhya, quando la politica manipola la religione
New Delhi (Agenzia Fides) – Il “caso Ayodhya” rappresenta un paradigma perfetto di come la religione possa essere strumentalizzata per fini politici, ottenendo il massimo risultato. Il dissidio in questione appare di primo acchitto strettamente giuridico-religioso: due differenti comunità di fedeli rivendicano il diritto di costruire un tempio in uno stesso luogo. Ma il caso ha costituito la “rampa di lancio” nell’agone politico di un partito nazionalista apparso sulla scena indiana in tempi recenti, solo nel 1980: il Baratiya Janata Party (“Partito del Popolo Indiano”), giunto in meno di vent’anni fino al governo federale della vasta nazione indiana. Il partito, che si è alimentato continuamente dell’ideologia nazionalista dell’hindutva (“induità”, al motto “l’India agli Indiani”), ha cavalcato la tensione interreligiosa e sfruttato a proprio vantaggio la disputa di Ayodhya.
Il casus belli riguarda un sito dove nel 1528 il sultano moghul Babur ordinò la costruire di una moschea, la Babri Masjid, proprio nel punto in cui, secondo gli induisti, sorgeva in precedenza un tempio dedicato al Dio Rama, una delle reincarnazioni della divinità Visnù.
I primi attriti fra le comunità religiose si registrano già nel 1859 e l’amministrazione coloniale britannica decide di ergere una staccionata sul luogo conteso. Un secolo dopo, il dissidio non è sopito: all’interno della moschea appare un simulacro del Dio Rama, scatenando la proteste dei musulmani, che intentano una prima causa civile. Il governo dichiara il luogo “area contesa” e pone la moschea sotto sequestro.
Occorre però aspettare gli anni ‘80 perchè la contesa sfoci in aperta violenza: nel 1984 il movimento fondamentalista indù “Vishwa Hindu Parishad” (VHP, “Consiglio Mondiale Indù”) forma un comitato per “liberare” quello che viene definito “il luogo di nascita di Rama”, al fine di costruire un tempio in suo onore. A questo punto il leader del BJP Lal Krishnan Advani assume la leadership della campagna contro la moschea: da allora il tema di Ayodhya sospinge le fortune elettorali del BJP, che passa rapidamente dal 7,4% dei consensi nel 1984 fino al 21,1% del 1991. Quando nel 1991, il BJP si aggiudica le elezioni nello stato di Uttar Pradesh, si prepara il peggio: il 6 dicembre 1992 la moschea viene rasa al suolo da una folla di militanti indù, sotto gli occhi immobili della polizia. Ben presto si scatenano ritorsioni e scontri fra musulmani e indù,con un tragico bilancio di oltre 2.000 morti. Il sito viene posto sotto sequestro. Pur con un alto tributo di sangue, la vicenda ha raggiunto il suo scopo: compattare le fila e aumentare il consenso sociale fra i correligionari, che si tradurrà in sostengo politico per il BJP. Il percorso del partito si concluderà quando il BJP otterrà nel 1996 la maggioranza relativa e nel 1998 il governo del paese.
Uno strascico ulteriore si avrà nel 2002, quando il Premier indiano Atal Bihari Vajpayee, del BJP, annuncia la posa del prima pietra del tempio indù ad Ayodhya, per poi ritirare il proclama. Ma gli estremisti vanno avanti e si preparano alla celebrazione della posa. La tensione latente esplode quando, il 26 febbraio 2002, un treno carico di “volontari del Dio Rama” viene assalito da militanti islamici nella stazione di Ghodra, in Gujarat. Si scatenano nuove violenze interreligiose, con oltre 700 morti.
La contesa finisce in tribunale. Nel processo vengono ascoltate le testimonianze degli archeologi, sulla presenza di resti di un tempi indù antecedenti alla moschea. Giovedì 30 settembre il tribunale di Allahabad emetterà la sentenza, a cui potrà comunque seguire un processo di appello. (PA) (Agenzia Fides 28/9/2010)

domenica 26 settembre 2010

Radivaticana: Discorso del Papa ai vescovi Brasiliani

Abbiamo bisogno del perdono per rinnovare noi stessi e la nostra società: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nel discorso ai vescovi brasiliani della regione Leste 1, che comprende lo Stato di Rio de Janeiro. Il Papa ha inoltre ribadito l’attenzione che la Chiesa deve riservare alle giovani generazioni. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto da mons. Rafael Llano Cifuentes, vescovo emerito della diocesi di Nova Friburgo e presidente della regione Leste 1. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“O núcleo da crise espiritual do nosso tempo…”
“Il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo – ha affermato il Papa – ha le sue radici nell’oscuramento della grazia del perdono”. Quando questo non viene riconosciuto come “reale ed efficace”, ha soggiunto, si tende a liberare la persona dalla colpa. Ma, nel suo intimo, ha osservato, le persone sanno che questo tipo di libertà non è vera, che il peccato esiste e che noi siamo peccatori. Il Papa ha anche rilevato che alcune correnti della psicologia vorrebbero cancellare il senso della colpa. D’altro canto, ha aggiunto, Gesù è venuto a salvare non quelli che si sono liberati da sé pensando di non aver bisogno di Lui, ma quanti sentivano di essere peccatori e di aver bisogno di lui:

“A verdade é que todos nós temos necessidade d’Ele…”
“La verità – ha ribadito – è che tutti abbiamo bisogno” del Signore, come di uno Scultore divino che rimuove le incrostazioni che si posano sull’immagine di Dio che è inscritta dentro di noi. “Abbiamo bisogno del perdono”, ha detto ancora, quale fondamento di una vera riforma, che rinnovandoci nel nostro intimo, rinnova anche la nostra comunità. Solo con il perdono, è stata la sua riflessione, torneremo somiglianti a Cristo e come San Paolo potremo allora dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”:

“Somente a partir desta profundidade de renovação…”
“Solamente a partire da questa profondità di rinnovamento dell’individuo – ha soggiunto Benedetto XVI – nasce la Chiesa”. Ed ha messo l’accento sulla gioia che deriva da questa purificazione. Una gioia che deve trasparire dalla Chiesa, contagiando il mondo, giacché la Chiesa è “la giovinezza del mondo”. Proprio i giovani sono stati l’altro tema forte del discorso del Papa ai vescovi brasiliani:

“Rica de um longo passado sempre vivo…”
“Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente”, ha detto il Papa richiamando il Concilio Vaticano II, la Chiesa è “la vera giovinezza del mondo”. Guardatela, ha detto rivolgendosi ai giovani e “voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani”. Benedetto XVI ha ricordato quanto il suo predecessore Giovanni Paolo II tenesse alla gioventù. In particolare, ha rammentato la toccante immagine dei giovani in fila al Circo Massimo, nell’anno 2000, per andarsi a confessare. Per convincere il mondo che la Chiesa è giovane, ha concluso, è dunque necessario puntare sui giovani di oggi.

venerdì 24 settembre 2010

Tasse in Pakistan

ASIA/PAKISTAN - La società civile: più tasse ai ricchi per aiutare gli alluvionati
Islamabad (Agenzia Fides) – Il Pakistan dovrebbe riformare radicalmente il sistema di tassazione dei cittadini, aumentando il prelievo fiscale sui più ricchi, in modo da poter destinare maggiori risorse all’emergenza alluvioni: è quanto chiedono la società civile del Pakistan, la Chiesa, e organizzazioni internazionali, mentre il paese si trova ad affrontare la più grandi emergenza umanitaria della sua storia.
“Occorre un grande sforzo di solidarietà nazionale: se lo stato induce le persone benestanti a rinunciare a parte della loro ricchezza, a beneficio della collettività, oggi, in particolare, per gli alluvionati, sarebbe certo un buon passo avanti per l’intera nazione”, dice a Fides Peter Jacob, Segretario Esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace”, in seno alla Conferenza Episcopale.
Secondo gli osservatori, il Pakistan ha un sistema di prelievo fiscale fra i più leggeri al mondo, pari a circa il 9% del valore dell’economia. Secondo Akbar Zaidi, economista che di recente ha pubblicato un rapporto sul sistema fiscale pakistano per il centro studi internazionale “Carnegie Endowment for International Peace”, uno dei problemi principali è che “molti cittadini evitano del tutto di pagare le tasse”. Meno del 2% dei 175 milioni di cittadini paga una tassa sui propri introiti, nota il Rapporto. E un comparto produttivo come l’agricoltura – uno dei principali nell’economia del paese, in mano a grandi famiglie di latifondisti – è totalmente esente da un prelievo fiscale.
“E’ giunto il momento che la piccola élite ricca del paese, che include l’esercito, i proprietari terrieri, le classi medie urbane, diano parte della loro ricchezza per il benessere dell’intera popolazione”, dice in una nota inviata a Fides un forum di organizzazioni nella società civile pakistana.
Secondo le organizzazioni, una modifica del sistema, che porti il livello del prelievo fiscale intorno al 15%, consentirebbe allo stato di generare 10 miliardi di dollari, che potrebbero essere immediatamente destinate alla gestione dell’emergenza, che ha colpito 20 milioni di persone e distrutto oltre 1,8 milioni di abitazioni. Quel denaro, si afferma, potrebbe servire per ricostruire le infrastrutture come ponti, strade e scuole, tutti beni primari per la riabilitazione economica e sociale della nazione.
Su spinta del Fondo Monetario Internazionale, il governo pakistano aveva promesso che avrebbe introdotto una riforma del sistema fiscale nel luglio scorso, ma proprio l’abbattersi delle alluvioni ha fatto rinviare il progetto. Oggi si dibatte su una possibile “tassa una tantum” sulle proprietà urbane e agricole, a carico dei cittadini non colpiti dalle inondazioni, ma non è chiaro se la proposta passerà, nè quanto denaro potrà generare per le casse dello stato. (PA) (Agenzia Fides 24/9/2010)

martedì 21 settembre 2010

La parola al Nunzio di Haiti

AMERICA/HAITI - “La situazione umanitaria è sempre di emergenza. Più di un milione di sfollati vive nelle tende e il numero aumenta”: a Fides la testimonianza del Nunzio ad Haiti
Port-au-Prince (Agenzia Fides) – “La situazione umanitaria è sempre quella di emergenza. Più di un milione di sfollati dal terremoto vivono ancora in campi di fortuna che, invece di diminuire di numero, sono aumentati. Anche i poveri che vengono dalle province in cerca di aiuto e di lavoro ingrossano i campi”. Il Nunzio apostolico ad Haiti, Sua Ecc. Mons. Bernardito Auza, descrive con queste parole all’Agenzia Fides la situazione a più di nove mesi dal terremoto che ha sconvolto l’isola, il 12 gennaio 2010. “Si vedono tanti nuovi campi di fortuna sulle colline, nella parte nord di Port-au-Prince – prosegue il Nunzio -, probabilmente per paura delle inondazioni, che grazie a Dio finora non sono arrivate. Infatti nessun uragano ha colpito il Paese e non vi sono state piogge torrenziali e protratte, per cui non vi sono state inondazioni”.
Mons. Auza sottolinea che “una soluzione che possa risolvere il problema degli sfollati sembra introvabile, fino adesso. Il primo campo di transizione allestito dal governo e dalla comunità internazionale nella zona di Corail, al nord/nord est della Capitale sembra aver fallito l’obiettivo, per mancanza di servizi ed altre cose. Si dice che la metà delle circa 10.000 persone portate in quel campo sarebbero già tornate in città. A mio avviso, la soluzione migliore è quella seguita dal Catholic Relief Services (CSR), cioè di riportare le famiglie nelle loro comunità di origine, nei loro quartieri, nei luoghi dove erano le loro case. Il CRS costruisce delle case provvisorie per loro proprio dove erano le loro abitazioni. Costruire case definitive non è nemmeno nell'agenda, sarebbe troppo costoso e non sarebbe comunque dovere del governo e della comunità internazionale farlo, almeno in questo periodo dove ci sono altre grandi necessità. Vi sono comunque alcune Ong che cercano di costruire case permanenti”.
Riguardo alle elezioni presidenziali, parlamentari e locali, che si terranno il 28 novembre 2010 (primo turno), l’Arcivescovo riferisce che esse occupano l'attenzione di tutti: “I problemi politici (come il boicottaggio dell'opposizione) e logistici (ad esempio la registrazione degli elettori e il rilascio di carte d'identità) sono enormi, ma Haiti e la comunità internazionale credono che ciònonostante occorra tenere le elezioni, per consolidare la stabilità politica. Vi sono 19 candidati in lizza per la poltrona del Presidente della repubblica”.
Infine il Nunzio si sofferma sulla fase della ricostruzione: “la ricostruzione propriamente detta non è ancora cominciata. Lo Stato ha già definito il centro città di Port-au-Prince, quasi completamente distrutta dal terremoto, come il futuro nuovo centro governativo, dove saranno costruiti gli edifici statali, i ministeri, etc. Ma i progetti non sono ancora definiti. Dentro la zona definita si trova anche il sito della Cattedrale, che è stata distrutta. La Chiesa, da parte sua, ha tantissimi progetti, ma le costruzioni non sono ancora cominciate. Speriamo che in occasione del primo anniversario del terremoto potremo lanciare i primi progetti, come la ricostruzione del Seminario maggiore nazionale. Per ora i seminaristi sono ospitati in grandi tende semipermanenti che possono durare anni. Speriamo che entro tre anni potremo inaugurare un nuovo moderno Seminario maggiore”. (CE) (Agenzia Fides, 21/09/2010)

Comitato per la pace

ASIA/PAKISTAN - Paura fra i cristiani di Karachi, condannati alla “precarietà”
Karachi (Agenzia Fides) – “Non ci sono minacce imminenti, ma la paura nella comunità cristiana è comunque palpabile. In Pakistan noi cristiani siamo in una condizione di forte precarietà: non sappiamo cosa potrà accadere nei prossimi cinque minuti”, dice all’Agenzia Fides p. Saleh Diego, Presidente della “Commissione Giustizia e Pace” della diocesi di Karachi, all’indomani della notizia di un attacco, avvenuto la sera del 18 settembre, a una chiesa cristiana Pentecostale, nel quartiere di Shah Latif Town, a Karachi.
La chiesa è stata attaccata e saccheggiata da un gruppo di estremisti islamici che hanno bruciato arredi e libri sacri. Secondo fonti locali, l’attacco è legato alla vicenda della “Giornata del rogo del Corano”, che non ha ancora spento la sua eco, e che tuttora viene utilizzata da alcuni leader musulmani estremisti per alimentare l’odio anticristiano.
P. Saleh Diego aggiunge: “Condanniamo l’attacco, chiediamo la protezione del governo e, come comunità cristiana in Pakistan, la possibilità di vivere tranquillamente e liberamente nel nostro paese. Esigiamo il rispetto per tutti i luoghi sacri e per i libri sacri, di qualsiasi religione”.
Il sacerdote, che è anche Cancelliere della diocesi di Karachi, racconta a Fides: “Ho appena parlato con il Vescovo, S. Ecc. Mons. Evarist Pinto, che ha espresso la sua preoccupazione: vogliamo evitare che, come accaduto nei mesi passati, episodi di violenza contro luoghi o quartieri cristiani possano espandersi ad altre parti della città”.
Certo, nota p. Diego, non si possono tralasciare i “gesti avventati” di alcune denominazioni cristiane protestanti, che hanno un atteggiamento ben poco dialogico verso i musulmani: “La chiesa attaccata, nata due o tre anni fa, sorgeva nel bel mezzo di un quartiere musulmano, non aveva un Pastore e ben pochi cristiani la frequentavano. Era molto esposta ed era un facile bersaglio per gli estremisti”, spiega.
In questa situazione, la Chiesa cattolica di Karachi è attiva nel dialogo con le altre comunità religiose e con le istituzioni per disinnescare altre tensioni. “Stiamo costituendo, a livello cittadino, uno speciale ‘Comitato per la pace’ che riunirà leader cristiani di diverse confessioni, e che coinvolgerà leader musulmani e leader civili. Continuiamo a lavorare per l’armonia religiosa e sociale, un bene prezioso, da tutelare nella nostra città”. (PA) (Agenzia Fides 21/9/2010)

La Citè Guanella

AFRICA/R.D.CONGO - Microcredito per 17 giovani della Cité Guanella
Kinshasa (Agenzia Fides) - Nuova esperienza di autonomia e responsabilità per 17 giovani accolti nella Citè Guanella, 11 dei quali già reinseriti in quattro villaggi circostanti e 6 ancora minori, sotto tutela dei guanelliani, fino al compimento della maggiore età. Il progetto, partito alla fine di maggio, ha previsto un programma specifico di formazione al microcredito, per la realizzazione e la gestione di microimprese. “Le attività scelte dai giovani, si legge in una nota di padre Guido Matarrese, responsabile della Citè Guanella, sono per la maggior parte agricole e prevedono la coltivazione di un ettaro di terreno con culture miste: manioca, melanzane pluviali, peperoncino pluviale, verdure locali. Uno dei giovani ha preferito realizzare una boutique commerciale a Kinshasa, mentre un altro, ha scelto di avviare una piccola attività come barbiere in città”. I sei minorenni, di circa 17 anni, sono stati coinvolti nell’avviamento di una boutique per la vendita di prodotti vari di consumo presso la Cité Guanella. “Il ricavato in questo caso, sottolinea padre Guido, servirà in primis a saldare il credito ricevuto e successivamente ad accumulare il piccolo capitale che permetterà a ciascuno dei 6 giovani, una volta raggiunti i 18 anni, di diventare autonomi economicamente, prendendo ciascuno la propria strada”. L’iniziativa è stata curata dalla ong italiana CISP (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli), che ha ottenuto un finanziamento specifico per la promozione del progetto. (AP) (21/9/2010 Agenzia Fides)

venerdì 17 settembre 2010

Esaltazione della Santa Croce in Cina

 Oltre 5.000 fedeli in pellegrinaggio al Santuario della Santa Croce nella diocesi di Zhou Zhi
Zhou Zhi (Agenzia Fides) – Oltre 5.000 fedeli cinesi del continente, provenienti da diverse diocesi, hanno compiuto un pellegrinaggio al Santuario dedicato alla Santa Croce, che si trova nel distretto di Mei Xian della diocesi di Zhou Zhi, nella provincia dello Shaan Xi, nella festa della Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre. Essendo un giorno feriale, tanti fedeli hanno anticipato il pellegrinaggio alla domenica precedente, 12 settembre. Secondo quanto riferito all’Agenzia Fides da Faith dell’He Bei, una trentina di sacerdoti sono stati messi a disposizione dalla diocesi per soddisfare le esigenze spirituali e pastorali dei tanti pellegrini. I fedeli si sono quindi divisi tra la chiesa di San Giuseppe, che si trova ai piedi della montagna dove sorge il Santuario, nella chiesa dedicata a Nostra Signora e nel padiglione dedicato a Gesù, sulla cima della montagna, per le Confessioni, la preghiera, la recita del Rosario, la Via Crucis e la Celebrazione Eucaristica, fin dalle 6 del mattino. Infatti a quell’ora i pellegrini avevano già riempito il Santuario e tutti i sentieri che vi conducono. Nell’omelia i sacerdoti hanno sottolineato l’importanza della Sacra Scrittura, della preghiera e del segno di Croce, perché “sono fondamentali per la vita cristiana”. (NZ) (Agenzia Fides 17/09/2010)

Annuncio cristiano

ASIA/PAKISTAN - Un Pastore cristiano aggredito “perché predica la salvezza in Cristo”
Lahore (Agenzia Fides) – E’ un attentato contro la libertà religiosa, che lo stato deve tutelare: così fonti di Fides in Pakistan commentano la recente aggressione subita dal Pastore Emmanuel Beshir, della “Chiesa Pentecostale della Città Santa”. Il Pastore guida una comunità e predica l’annuncio cristiano nella zona di Kasur, a Sud di Lahore, nel Punjab.
Come racconta una nota inviata all’Agenzia Fides dall’ “International Christian Concern” – organizzazione che monitora le violenze sui cristiani nel mondo – il 13 settembre, alle nove di sera, il Pastore stava rientrando dal villaggio di Bahmani Wala, quando cinque uomini lo hanno fermato chiedendogli: “Perchè predichi che Gesù Cristo è il Signore e che nessuno può salvarsi senza di Lui?”. Il Pastore ha replicato: “Non smetteremo mai di predicare il Signore Gesù Cristo a tutte le nazioni”. A queste parole, i cinque uomini lo hanno assalito e percosso, procurandogli fratture alla mano destra e diverse ferite. Il Pastore Beshir è attualmente ricoverato al Farooq Hospital a Lahore. “Non sono riuscito a identificare gli aggressori per l’oscurità”, ha detto, affermando che “chi predica il Vangelo va incontro a difficoltà e persecuzioni”.
Nell’insediamento cristiano di Bahamani Wala i fedeli sono già stati vittime di aggressioni a giugno del 2009, quando oltre 600 musulmani estremisti hanno attaccato i residenti del villaggio, con false accuse di blasfemia, distruggendo case, negozi e proprietà. (PA) (Agenzia Fides 17/9/2010)

giovedì 16 settembre 2010

Ancora Estremismo da Fides

Lahore (Agenzia Fides) – Sono molte, ben organizzate, efficaci; assistono solo profughi di religione musulmana; al loro interno si celano associazioni legate all’estremismo islamico, bandite dal governo, che agiscono “con secondi fini”: è questo il quadro descritto all’Agenzia Fides da Vescovi, sacerdoti e volontari cristiani che parlano dell’assistenza dei gruppi musulmani agli alluvionati. Secondo fonti di Fides, solo nella provincia del Punjab sono almeno 65 i campi gestiti da organizzazioni islamiste radicali, dichiarate illegali.
“I gruppi islamici di carità sono molto attivi e si muovono molto bene. Riescono a conquistare le simpatie della popolazione e ci riescono. Prestano le loro attenzioni agli sfollati musulmani”, dice a Fides S. Ecc. Mons. Lawrence Saldanha, Arcivescovo di Lahore e Presidente della Conferenza Episcopale.
“Le numerosissime organizzazioni musulmane impegnate oggi in soccorso agli sfollati delle alluvioni si occupano solo dei musulmani. Quando i cristiani si avvicinano loro, vengono allontanati”, precisa in un colloquio con Fides p. Mario Rodrigues, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan.
P. Robert McCulloch, missionario di San Colombano a Hyderabad, sottolinea i distinguo: “La grande maggioranza dei musulmani mostra grande generosità nell'assistenza. Pochi gruppi estremisti perseguono i loro fini anche in questa tragedia e vogliono sfruttare la disperazione dei profughi a proprio vantaggio”.
Alwin Murad, volontario cattolico, spiega a Fides: “Alcune organizzazioni fondamentaliste distribuiscono cibo e invitano a pregare Allah. E’ possibile che, se si avvicinano sfollati non musulmani, chiedano loro di convertirsi all’islam. Soprattutto in aree come Charsadda, Peshawar, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa o nel Sud Punjab. Gruppi banditi dal governo hanno cambiato nome e sono registrati come Ong islamiche. Questi strumentalizzando l'assistenza umanitaria. I profughi sono un bersaglio facile”.
Ayub Sajid, cattolico, direttore della Ong “Organization for Development and Peace”, rimarca a Fides: “Questi gruppi cercano spazio nella società e lo trovano, per le dimensioni della tragedia e per la fatica del governo nei soccorsi. Operano anche in funzione elettorale, cercando consenso e voti. Ai cristiani viene detto di andare a cercare assistenza dai loro rappresentanti”.
Conferme giungono dalle drammatiche testimonianze inviate a Fides dalle Ong locali. Abid Masih, padre di 4 figli profugo dal Muzaffargarh, racconta: “Dopo alcune peregrinazioni, ci siamo ritrovati in un campo profughi dell’organizzazione religiosa islamica ‘Sip-e-Sahaba’. Ci hanno detto di andarcene o se volevamo diventare musulmani”.
Basharat Gill, residente a Shakargarh, nel Punjab, afferma: “Con la mia famiglia di 12 persone, ci siamo diretti a Narowal. Abbiamo raggiunto un campo amministrato dal gruppo legato alla Lashkar-e-Taiba. Ci hanno dato cibo per un giorno. Poi, nel bel mezzo della notte ci hanno cacciato”. (PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)

Estremismo

Islamabad (Agenzia Fides) – Mentre la macchina degli aiuti umanitari arranca, gruppi islamisti radicali prendono piede e trovano sempre maggiore spazio nella operazioni di assistenza agli sfollati: è l’allarme giunto all’Agenzia Fides dal mondo delle Ong, da volontari e leader cattolici, nonché dalle istituzioni civili pakistane. Mentre le piogge e inondazioni continuano nel Sud del paese, e il governo è in difficoltà, “i gruppi islamici vanno a riempire il vuoto lasciato dalle istituzioni. I campi organizzati dal governo e gestiti dalla protezione civile non riesono ad accogliere tutti gli sfollati. Una buona parte del lavoro lo fanno le agenzie internazionali e le Ong private. In tale contesto si infiltrano anche organizzazioni caritative diretta espressione di gruppi islamisti radicali, che usano una diversa denominazione”, spiega all’Agenzia Fides un membro della “Commissione per i Diritti umani del Pakistan”, nota Ong pakistana.
“Vi sono ancora milioni di persone esposte a fame e malnutrizione”, ha detto ieri Valerie Amos inviato speciale dell’Onu in Pakistan. A sette settimane dall’inizio della tragedia, crescono nella società civile, nella politica e nell’opinione pubblica i timori che i gruppi radicali islamici utilizzino l’assistenza umanitaria per conquistare consenso e reclutare nuovi volontari.
Secondo l’Institute for Conflict Management (ICF), think tank specializzato sull’Asia meridionale, sono attive sul terreno anche formazioni dichiarate illegali alivello internazionale: “Gruppi militanti come Harkat-ul-Jihad-al-Islami (HuJI), Jaish-e-Mohammad (JeM), Harkat-ul-Mujahideen (HUM), Jama’at-ud-Da’awa (JUD), Lashkar-e-Toiba (LeT), e formazioni islamiste radicali come Jamaat-e-Islami (JeI), stanno traendo vantaggio dalla situazione delle inondazioni, raccogliendo denaro da destinare agli alluvionati”.
Gli aiuti dai paesi musulmani e dai fedeli musulmani in tutto il mondo si sono moltiplicati nel mese del Ramadan, attraverso il meccanismo della “Zakah”, l’elemosina obbligatoria che ogni musulmano è tenuto a versare, soprattutto alla fine del Ramadan (la “Zakat al-Fitr”), offerta destinata alle persone bisognose.
L’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), formata da 57 paesi musulmani, ha annunciato aiuti per oltre un miliardo di dollari provenienti per la maggior parte da paesi come Arabia Saudita, Turchia , Kuwait, Emirati Arabi e Qatar, senza specificare se tali aiuti passeranno attraverso il governo pakistano o organizzazioni indipendenti. Il Primo Ministro Yousuf Raza Gilani ha criticato apertamente le donazioni compiute a Ong private. D’altro canto, membri dell’associazioni musulmana “Falah Insaniat Foundation”, molto attiva nel soccorso agli sfollati su tutto il territorio – diretta espressione della “Jamaat au-Dawa” – dichiarano apertamente alla stampa: “La gente si fida più di noi che del governo”.
Molti osservatori sottolineano che organizzazioni islamiche, legali o illegali, stanno lavorando con grande efficacia. “Per contrastare l’estremismo islamico, urge una azione umanitaria comprensiva e coordinata fra stato, agenzia internazionali, e Ong, per lasciare poco spazio a questo opportunismo”, dicono a Fides volontari cattolici impegnati sul terreno. (PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)

La situazione in Pakistan Intervista al Vescovo di Islamabad-Rawalpindi.

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – I gruppi che danno cibo con secondi fini, “non fanno carità, non agiscono secondo Dio. Quella non è carità, né misericordia, è ben altro”: dice in una intervista all’Agenzia Fides S. Ecc. Mons. Rufin Anthony Vescovo di Islamabad-Rawalpindi.

Com’è la situazione dei cristiani dopo le alluvioni?

Molti cristiani sono ospitati da altre famiglie cristiane. Molti sono nei campi profughi. Gli aiuti, per quanto ho potuto constatare nella mia diocesi, sono distribuiti tramite l'esercito: le organizzazioni di assistenza, inclusa la Caritas, passano attraverso i militari, che li distribuiscono senza discriminazioni. In altre aree, laddove il governo non arriva, operano spesso Ong locali legate ai gruppi islamici. Questi chiedono elemosina per gli aiuti e, come ho udito raccontare, si occupano solo di profughi musulmani.

Cosa dire delle associazioni di carità legate ai gruppi islamisti radicali?

Questi gruppi non fanno carità. Se un aiuto non è disinteressato, non è carità, non è misericordia. Vi sono altre ragioni dietro: crearsi una buona immagine, acquistare consenso e popolarità presso la gente; ricevere aiuto dall'estero, reclutare volontari.

Le risulta che facciano anche proselitismo?

Non ne ho notizia. Ma se fanno proselitismo, se chiedono alla gente di altre religioni di convertirsi, la loro opera non andrà a buon fine. I cristiani pakistani, anche se in situazioni di estrema necessità, non accetteranno di convertirsi, di abbandonare la loro fede. La fede dei cristiani è forte: preferiranno rifiutare tali aiuti condizionati. E poi mi chiedo: che valore avrebbe la conversione di un uomo che lo fa solo perché sta morendo?

Come vivono oggi la loro fede i cristiani del Pakistan?

I cristiani vivono fra la gente, testimoniando la loro fede con convinzione, anche in mezzo alle persecuzioni. Anzi, posso dire che fra le difficoltà e le persecuzioni, la fede fiorisce: le nostre chiese sono piene. I cristiani si sentono autentici pakistani. Il Pakistan è la nostra terra, è la terra che Dio ci ha dato. Anche se i loro diritti sono negati, questi diritti restano tali, sono inalienabili e nessuno potrà toglierli.

C’è un raggio di speranza anche in questa tragedia delle inondazioni?

La speranza c’è perché Dio è il Signore della storia, anche negli eventi dolorosi che l'umanità non comprende. Ogni evento, anche tragico, serve alla nostra salvezza e redenzione. Questa tragedia dice a ogni uomo di tornare a Dio e di mettere in pratica la sua misericordia, come ripeto ai fedeli della diocesi.
(PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)

lunedì 23 agosto 2010

False ONG?


ASIA/PAKISTAN - “Attenti alle false Ong”: l’appello di Mons. Coutts ai donatori
Faisalabad (Agenzia Fides) – In questa fase di grande mobilitazione per gli aiuti umanitari, “è fondamentale essere molto attenti alle istituzioni che si scelgono per inviare fondi: vi sono infatti false Ong, nate per speculare e appropriasi di fondi, oppure associazioni legate a gruppi integralisti islamici. Anche nel mondo cristiano si moltiplicano le organizzazioni di carità, specie in area protestante: solo a Faisalabd ve ne sono oltre 50. Il mio appello è scegliere la Caritas, istituzione credibile e trasparente, espressione ufficiale della Chiesa cattolica”: è quanto dice, in una intervista all’Agenzia Fides, Mons. Joseph Coutts, Vescovo di Faisalabad e Presidente della Caritas Pakistan, impegnata in prima linea nel soccorso alle vittime delle alluvioni. Mons. Coutts annuncia che domani, 24 agosto, la Chiesa pakistana si fermerà in preghiera per le vittime delle alluvioni e per i profughi.

Come sta operando la Caritas negli aiuti umanitari?

La Chiesa pakistana, tramite la Caritas, ha mobilitato le sue risorse a tutti i livelli. Siamo in contatto con le rete di Caritas Internationalis e beneficiamo del prezioso aiuto delle Caritas delle altre nazioni, in un sforzo comune di grande spessore. Ma, a livello locale, anche le scuole, le parrocchie, le piccole istituzioni cristiane, in tutto il paese, stanno facendo del loro meglio, mettendo a disposizione strutture per l’accoglienza, raccolte di cibo e di aiuti. Il nostro impegno prosegue accanto alle istituzioni civili, con cui cerchiamo di coordinare gli sforzi.

Ha avuto notizie sulla discriminazione dei profughi cristiani, esclusi dagli aiuti?

Sebbene, in occasioni dolorose come queste, in primo piano c’è sempre la solidarietà, è possibile che tale discriminazione accada in alcune aree, dove già le minoranze cristiane sono perseguitate ed escluse. Si preannuncia per loro una grande sofferenza, che cercheremo in tutti i modi di attutire. In ogni caso la risposta della Caritas è quella dell’amore senza condizioni: prestiamo assistenza e soccorso a tutti i profughi, senza alcuna discriminazione, e sono al 99% musulmani. Il nostro spirito è quello del Buon Samaritano, che non ha guardato la carta di identità dell’uomo da soccorrere.

Ha informazioni sul traffico di esseri umani, soprattutto bambini, fra gli sfollati?

La fase che viviamo è moto delicata: nell’esodo che continua, mentre si organizzano gli aiuti, è possibile si infiltrino organizzazioni criminali dedite al traffico dei minori. Chiediamo al governo e alla polizia di vigilare con grande attenzione su questo fenomeno che potrebbe aggiungere alla catastrofe naturale un flagello per i più piccoli.

Cosa può dire ai donatori che si stanno attivando in tutto il mondo?

Vorrei metterli in guardia da alcuni rischi: è fondamentale essere molto attenti alle istituzioni che si scelgono per inviare fondi. Vi sono infatti false Ong, nate per speculare e appropriasi di fondi, oppure associazioni legate a gruppi integralisti islamici. Anche nel mondo cristiano, si moltiplicano le organizzazioni di carità, specie in area protestante: solo a Faisalabad ve ne sono oltre 50. Il mio appello è scegliere la Caritas, istituzione credibile e trasparente, espressione ufficiale della Chiesa cattolica.

La comunità cristiana è attiva anche a livello spirituale?

La preghiera è per noi molto importante, in quanto riconduce anche gli eventi dolorosi al rapporto con Dio: domani, 24 agosto, come Conferenza Episcopale del Pakistan abbiamo fissato in tutte le chiese della nazione una speciale veglia di preghiera per le vittime delle alluvioni, per i morti e per e per i profughi sopravvissuti. Chiediamo a tutti i cristiani del mondo di unirsi a questa preghiera, e di pregare anche per sostenere quanti stanno dedicandosi senza riserve al soccorso degli sfollati. In questo ringraziamo il Santo Padre per le sue preghiere e i suoi appelli per la popolazione pakistana.

A quali problemi si andrà incontro nei prossimi mesi?

Il problema principale sarà quello della sicurezza alimentare: un raccolto è andato distrutto con le inondazioni, e molte famiglie di agricoltori hanno perso le provviste conservate per i prossimi mesi . Ma, se l’allagamento non rientra in fretta, si perderà anche il prossimo raccolto, quello autunnale, e ciò significa una catastrofe alimentare, con grande sofferenza, fame e miseria per migliaia di famiglie. Inoltre migliaia di capi di bestiame sono morti: anch’essi costituivano l’unica risorsa di sopravvivenza per molte famiglie. Se si pensa, poi, l’acqua che ancora allaga pianure, città e villaggi non è potabile ed è fonte di infezioni, si comprendono i forti rischi ai quali milioni di persone sono esposti. Urge una mobilitazione internazionale per impedire tutto ciò.
(PA) (Agenzia Fides 23/8/2010)

Madre Teresa

ASIA/INDIA - “Madre Teresa, un miracolo per il mondo”. Intervista a Sr. Mary Prema, Superiora Generale delle “Missionarie della Carità”
Calcutta (Agenzia Fides) – E’ Gesù che conduce i passi delle Missionarie della Carità, che ne guida lo spirito e l’impegno missionario: a 100 anni dalla nascita di Madre Teresa (ricorrenza che cade il 26 agosto 2010), è questo “affidarsi alla Provvidenza” uno dei tratti essenziali che la Congregazione delle suore del “sari bianco” vivono nel rispetto e nel ricordo della loro fondatrice, definita “un miracolo per la storia dell’umanità”. E quanto afferma Suor Mary Prema, tedesca di nascita, oggi Superiora Generale dell’Ordine, in una intervista rilasciata all’Agenzia Fides tramite la mediazione di “Missio Austria”, le Pontificie Opere Missionarie dell’Austria.

Suor Prema, Lei è responsabile di un ordine religioso che in tutto il mondo si occupa di poveri e malati. Perché, secondo Lei, Dio permette la sofferenza?

La sofferenza non puó essere una punizione. E comunque Dio la permette. Noi possiamo approfittare della sofferenza per avvicinarci a Lui e di chiedere a Lui la grazia di sopportare e di saper gestire questa sofferenza. La sofferenze è spesso conseguenza delle nostre decisioni. Ma e anche una conseguenza della natura caduca, fragile. Naturalmente la sofferenza puó esser provocata anche da cose che sono fuori dalla nostra portata. Catastrofi naturali come il terremoto a Haiti o le alluvioni in Pakistan ne sono un esempio. Ma sono convinta che Dio permette la sofferenza perché ci può trasformare in uomini e donne migliori e piú profondi. Cosi diventiamo in grado di capire che questo mondo e questa vita non sono la meta suprema, ma che esiste qualcosa in più: la vita dell’anima che – se accetta veramente la sofferenza – ne viene purificata.

Madre Teresa distingueva fra sofferenza fisica e sofferenza spirituale: può spiegarci meglio come il vostro lavoro oggi ne tiene conto?

La sofferenza più grande è quella spirituale, dell’anima. Qui a Calcutta vediamo che per noi è molto piú semplice adempiere ai servizi fisici delle “opere di misericordia corporali”: lavare delle persone morenti, l’assistenza medica ai malati e l’aiuto ai senzatetto nelle nostre case. I servizi spirituali della carità esigono un impegno molto più grande. Alla sofferenza dell’anima possiamo reagire soprattutto con la nostra preghiera. È importante che la grazia divina tocchi le persone con una tale sofferenza. È altrettanto importante per noi pregare per questo: ogni giorno ci fermiamo per un’ora di preghiera davanti all’Eucaristia. Per il nostro lavoro è fondamentale: infatti, non si tratta di un impegno sociale ma di un impegno missionario.

Che cosa intende per missione? Per Madre Teresa si trattava di “conversione” alla fede cattolica”?

Madre Teresa desiderava che tutti conoscessero e amassero Gesù. Era convinta che ogni anima desiderava la salvezza in Gesù, indipendentemente se ne fosse conscia o no. L’opera della conversione comunque resta un’opera di Dio. Non è nostro compito. Solo Dio può convertire l’anima. Madre Teresa intese la propria vita come compito di amare Gesù e di trasmettere questo amore alle persone intorno a lei. Era il suo unico scopo. Cercava di fare in coscienza soltanto quello che credeva Dio si attendesse da lei. Madre Teresa pensava che Dio l’avesse chiamata a compiere un servizio autentico e disinteressato all’uomo, ad avere una attenzione assoluta per la persona sofferente. Era sempre presente al 100% e aperta nei confronti della persona con la quale in quel momento aveva a che fare. Non era mai interessata alle cose grandi, non si occupava di fare pubblicità o cose simili. In primo piano c’era sempre l’incontro diretto con la persona singola. Ciò naturalmente è espressione di grande saggezza.

Può dirci come Madre Teresa organizzava e come viveva nel suo ambiente? Quale era l’immagine che Lei, Sour Prema, aveva di Madre Teresa?

Lei probabilmente direbbe che il suo scopo era sempre di trasmettere alle persone intorno a lei l’esperienza di Gesù. Questa è l’eredità che lei ci ha lasciato. Tramite la sua vita, il suo lavoro, il suo fascino, avvicinava le persone intorno a lei a Dio. Lei non predicava ma testimoniava con la propria vita. Ancora oggi molti mi raccontano del loro primo incontro con Madre Teresa. L’avevano vista forse per cinque minuti sul terrazzo della nostra casa madre. Ma quell’unico momento ha cambiato la loro vita per sempre. Spesso bastava una frase, una buona parola. Molte di queste persone sono indù. Non si sono convertiti al cristianesimo dopo l’incontro con Madre Teresa. Ma hanno cominciato a vedere la loro vita e il loro lavoro con altri occhi e sono diventate altre persone, che vivono in modo diverso, secondo l’amore e la misericordia, all’interno delle loro famiglie. Ce ne sono tanti di esempi.

A 100 anni dalla nascita di Madre Teresa, quali sono secondo Lei le grandi sfide per la congregazione nei prossimi anni?

Le Missionarie della carità sembrano una grande organizzazione, ma noi non facciamo programmi per i prossimi dieci anni. Cerchiamo di rimanere aperte per quello che Dio ci chiede. Solo Gesú mi dirà quale è il prossimo passo. Quindi, nello spirito della Madre, non sono io ad esercitare il controllo: è Dio quello che prende le decisioni.

Madre Teresa ha lasciato delle indicazioni sugli orientamenti futuri dell’ordine?

Una volta qualcuno le ha chiesto che ne sarà quando lei non ci sarebbe più stata. La sua risposta era molto secca: “Mi faccia prima morire tranquilla!” Non ci ha dato mai indicazioni riguardo ai programmi futuri. Oltre al fatto che avremmo dovuto impegnarci sempre di più a diventare sante! Questa era la sua continua raccomandazione. Oggi nella direzione dell’ordine lavoriamo in gruppo: Altre tre suore condividono questo compito con me. Ma in fondo, come Superiora Generale, la responsabilità per l’Ordine è mia. Per questo compito ho potuto imparare molto dalla nostra fondatrice. Il processo decisionale si svolgeva in due fasi: la prima era quelle di deliberare e conoscere tutte le possibilità e le conseguenze (decision making); poi veniva la fase di scelta, in cui si “prende la decisione” (decision taking). Madre Teresa si faceva consigliare in modo accurato, poi si ritirava e poi prendeva la decisione. In questo era molto brava.

Come affronterete le sfide del nuovo millennio?

Madre Teresa si poneva in ascolto a Gesù ed era sempre aperta per nuove sfide e problematiche le quali si trova a confronto la società. Negli anni ottanta era per esempio HIV/Aids. Ha aperto a New York una casa per le vittime di questa malattia. Al centro poneva l’accompagnamento dei malati in fase terminale. Allora non esistevano ancor medicinali per tenere sotto controllo il virus. Che sofferenza! Madre Teresa a suo tempo ascoltò Gesù ma aveva anche un orecchio aperto ai problemi del mondo. Cosi anche noi dobbiamo ascoltare Gesù ed essere generose. Lei era molto generosa nei confronti di Dio e dei sofferenti vicino a lei. In questo vogliamo imitarla.

Con quale formazione le suore si preparano a questo compito?

Fin dall’inizio del loro cammino, le novizie hanno la possibilità di lavorare con i poveri negli slum. Ricevono nozioni per la cura dei malati e naturalmente una formazione di base in teologia, storia della chiesa, catechesi e Sacra Scrittura.

Secondo Lei, quando sarà canonizzata Madre Teresa?

Tutti parlano di una accelerazione, nel cammino per la canonizzazione, in occasione del 100° anniversario della nascita (26 agosto 2010). Ma io non credo che questo sia poi così importante. Tutti sanno che è santa. Sia per gli indù che per i cristiani, qui a Calcutta e nella maggior parte dei luoghi in cui siamo presenti, questo è fuori dubbio. Tutti attendono un miracolo… ma Madre Teresa stessa era il miracolo per il mondo e per l’umanità.
(MS-PA) (Agenzia Fides 23/8/2010)

giovedì 29 luglio 2010

AFRICA/UGANDA - Si delinea uno scenario complesso dietro gli attentati di Kampala



Kampala (Agenzia Fides)- Continuano le indagini relative al duplice attentato commesso l’11 luglio nella capitale ugandese Kampala. Gli attentati, che hanno provocato 76 morti e centinaia di feriti, sono stati rivendicati dagli Shabab, il gruppo integralista somalo che si oppone al Governo di Transizione di Mogadiscio appoggiato da una forza di intervento africana, composta in gran parte da soldati ugandesi.
Le autorità di polizia ugandesi hanno arrestato una quarantina di persone, accusate di aver preso parte agli attentati, molte delle quali sono somali. L’Uganda accoglie infatti un certo numero di rifugiati somali e addestra sul suo suolo una parte dell’esercito del Governo di Transizione della Somalia. Secondo quanto riporta il quotidiano “The Monitor” starebbe emergendo una trama più complessa e allarmante all’origine degli attentati dell’11 luglio. Il giornale cita un rapporto dell’intelligence ugandese del settembre 2009 secondo il quale vi era un piano per compiere attentati dinamitardi a Kampala da parte di elementi delle Allied Democratic Forces (ADF) con il supporto degli Shabab. L’ADF è un gruppo formato nel 1996 da integralisti musulmani, che si è in seguito unito ad un altro gruppo di guerriglia, la National Army for the Liberation of Uganda.
“L’ADF è un gruppo debole che dal 2001 non riesce più ad operare in Uganda. I suoi componenti si sono rifugiati da tempo nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Mi sembra improbabile che siano coinvolti negli attentati di Kampala” dice a Fides Sua Eccellenza Mons. Egidio Nkaijanabwo, Vescovo di Kasese, la diocesi nel sud-ovest dell’Uganda dove l’ADF ha operato per alcuni anni. “Dal 1996 al 2001 questo gruppo ha seminato l’insicurezza nella nostra diocesi ed anche la Chiesa ne ha sofferto. Il gruppo si richiama all’islamismo radicale ed era appoggiato da una potenza esterna. In seguito, intorno al 2001, l’esercito ugandese è riuscito a riprendere il controllo dell’area. Da allora i guerriglieri dell’ADF si sono rifugiati in Congo”.
L’ADF/NALU, rimasto pressoché inattivo per anni, da qualche settimana ha fatto parlare di sé da quando l’esercito congolese ha lanciato un’offensiva contro le sue basi nel nord Kivu. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali che operano nell’area, i combattimenti hanno provocato la fuga di circa 90mila civili.
Il rapporto dell’intelligence ugandese citato da “The Monitor” afferma che l’ADF ha 800 combattenti, “tutti musulmani, il 40% dei quali sono ugandesi, il resto congolesi, tanzaniani, senegalesi, somali e altri provenienti dall’Africa occidentale”. Il gruppo è guidato da Jamil Mukulu, un cattolico convertito alla religione islamica, che sarebbe stato ferito negli ultimi giorni nell’est del Congo. Secondo “The Monitor” prima degli attentati dell’11 luglio, l’esercito ugandese aveva preparato un attacco contro le basi dell’ADF/NALU in Congo, con l’appoggio dei congolesi e degli Stati Uniti. Se queste notizie verranno confermante si viene a delineare uno scenario complesso dove all’islamismo radicale e alla lotta al terrorismo condotta dagli Stati Uniti, si sovrappongono le tensioni esistenti nell’area da decenni. Sullo sfondo rimangono le immense ricchezze congolese e il petrolio ugandese, il cui sfruttamento è stato avviato da poco. (L.M.) (Agenzia Fides 29/7/2010)