Una verità irrisolta

Una verità irrisolta
ispirazione quindi impegno

venerdì 23 gennaio 2009

Radiovaticana: I cattolici vietnamiti aiutano i poveri a festeggiare il nuovo anno lunare


◊ Si moltiplicano le iniziative dei cattolici in Vietnam per aiutare le persone più povere a festeggiare il nuovo anno lunare. Il Paese asiatico sta vivendo un momento economicamente difficile, ripercussione della liberalizzazione del mercato attuato dal governo nel 1990, che ha visto l’ingigantirsi del problema con i recenti avvenimenti mondiali, facendo crescere il numero delle persone che non hanno neppure da mangiare. Ed è in questo scenario che molte parrocchie promuovono raccolte di denaro tra i fedeli da donare alle famiglie bisognose, in maggioranza buddiste. Singolare l’iniziativa, riferita dall'Agenzia AsiaNews, di una parrocchia che per raccogliere soldi si è affidata ad un sito internet, precisando che il ricavato sarà usato anche per acquistare cibo, abiti, medicine e sedie a rotelle per orfani, malati di Aids e handicappati, oltre che per costruire case o scavare pozzi per i più poveri dei poveri, in zone remote. Nell’estremo sud del Paese, le suore di San Paolo di Chartres, che hanno visto, qualche tempo fa, la loro casa requisita e trasformata in parco pubblico, hanno deciso di rinviare la loro celebrazione del Tết e dare la priorità alla distribuzione di aiuti. (F.C.)

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Radiovaticana: Pakistan: nuova ondata di violenza contro i cristiani


◊ La violenza contro i cristiani in India ha superato le frontiere, coinvolgendo anche il Paese vicino, il Pakistan. Un articolo pubblicato da “L'Osservatore Romano” - ripreso dall'agenzia Zenit - spiega che chiese, scuole e istituzioni private, così come decine di case di cristiani, sono state bersaglio di numerosi attacchi. Oltre alle 170 scuole che hanno subito attacchi o danni negli ultimi due anni, più di 400 strutture educative si sono viste costrette a chiudere o a sospendere la propria attività. La ragione è che il 15 gennaio scorso è stato annunciato da un'emittente locale un decreto che minacciava di attentati e rappresaglie le scuole che stessero funzionando dopo quella data. Presidi, insegnanti e genitori di istituzioni dirette da associazioni cristiane o da altre comunità ed etnie indipendenti hanno deciso di chiudere le strutture fino alla revoca dell'editto. L'articolo descrive il “clima di terrore” vissuto dagli abitanti nel deserto di Swat, all'interno della provincia di frontiera del nord-ovest, osservando che “si tratta di un territorio dove di fatto governano le bande dei talebani, che hanno preso di mira in particolare gli istituti di educazione femminili”. A seguito del lancio di bombe rudimentali, è stata distrutta anche una scuola diretta da una comunità di suore carmelitane apostoliche originarie dello Sri Lanka, che aveva circa mille studenti. La chiusura delle strutture ha pregiudicato circa 125.000 bambini e giovani, che hanno dovuto sospendere gli studi a tempo indeterminato. La violenza ha colpito anche vari templi e case nella provincia del Punjab: “un non precisato numero di musulmani” ha “assaltato la chiesa e quattro abitazioni di cristiani nel villaggio di Kot Lakha Singh, compiendo anche atti di tortura”. Gli assalitori hanno attaccato anche altre case cristiane e sono entrati in chiese cattoliche e protestanti, dove hanno distrutto testi sacri e danneggiato la mobilia. Anche se gli atti sono stati denunciati alla polizia, nessuno è stato arrestato. (R.P.)

Gaza scrive

Lettera di ringraziamento del parroco di Gaza per gli aiuti e le preghiere

◊ “Che Dio spazi via la rabbia degli uomini e inondi Gaza della sua grazia. A nome della gente di Gaza vi vogliamo dire grazie, amici di tutto il mondo, per le vostre preghiere incessanti e per l'aiuto di cui abbiamo bisogno urgentemente e che speriamo ci raggiunga presto”. E’ un passo della lettera del parroco di Gaza, padre Manuel Musallam, rilanciata oggi dal sito web del patriarcato latino di Gerusalemme. Padre Manuel racconta di una terra devastata, di ferite profondissime e difficili da guarire, nel copro e nella mente degli abitanti di Gaza. Descrive l’assoluto e sempre più pressante bisogno di mettere, una volta per tutte, la parola fine alla guerra tra israeliani e palestinesi, sottolineando però che non esiste pace senza giustizia.
Nella lettera si lancia ancora una volta un appello a ciascuno, perché non si dimentichi delle sofferenze di Gaza. La lettera si apre con una preghiera: “Dio – scrive padre Musllam - spazzi via la rabbia degli uomini e inondi Gaza con la sua grazia e il suo amore. Centinaia di persone sono state uccise e molte di più sono rimaste ferite durante l’invasione israeliana. La nostra gente ha sopportato il bombardamento delle case, la distruzione del raccolto, ha perso ogni cosa e adesso è senza dimora”. “Come i primi cristiani - si legge nel documento - la nostra gente sta vivendo un periodo di grandi persecuzioni, persecuzioni che andranno testimoniate alle future generazioni come una prova della fede, della speranza e dell’amore di questa gente”. “Adesso – prosegue padre Musallam - molte famiglie sono rifugiate presso le scuole dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ai profughi palestinesi, dove speravano di essere al sicuro. Gli aiuti di emergenza non sono ancora arrivati alla nostra chiesa e la nostra gente, avendo troppa paura ad avventurarsi nella città distrutta, non è in grado di raggiungere i magazzini in cui sono stoccati gli aiuti della Croce Rossa e delle Nazioni Unite”. “Noi speriamo in Dio ma ci appelliamo al mondo intero e in particolare alla Chiesa perché Gaza venga aiutata. Le vostre preghiere e la vostra sollecitudine saranno la nostra salvezza. Il mondo - conclude - deve trovare una soluzione per il popolo palestinese e non ci si deve accontentare di tornare al punto in cui eravamo prima che scoppiasse questa guerra. I confini che ci separano da Israele devono essere ridisegnati e l'occupazione, che è iniziata 60 anni fa, deve finire. Lo status dei rifugiati palestinesi deve essere risolto sulla base del Diritto al ritorno e Gerusalemme Est deve diventare la capitale dello Stato palestinese. Bisogna abbattere il muro dell'apartheid, aprire i valichi di frontiera, liberare i detenuti palestinesi e smantellare gli insediamenti israeliani in modo che la terra possa tornare ai suoi legittimi proprietari palestinesi. La pace è possibile solo se si accorda con la giustizia. Se il mondo garantirà i diritti umani ai palestinesi, ci sarà sicuramente pace in Medio Oriente.” (T.C.)

mercoledì 21 gennaio 2009

Kenya: domani a Nairobi i funerali di padre Giuseppe Bertaina


◊ Si svolgeranno domani nella Chiesa della Consolata, a Nairobi, i funerali di padre Giuseppe Bertaina, il missionario della Consolata che operava in Kenya da oltre 50 anni, barbaramente assassinato venerdì scorso nella capitale keniana. Dopo la cerimonia funebre – riferisce l’Ansa -, il corpo del missionario sarà trasferito per una veglia all'Istituto di Studi filosofici, che si trova a Langata, quartiere povero alla periferia ovest di Nairobi. Venerdì mattina il feretro sarà portato nella parrocchia di Muranga (Kenya centrale) dove padre Giuseppe aveva operato per circa 23 anni; infine il corpo sarà inumato nel non lontano cimitero di Mathari, dove vengono sepolti i missionari della Consolata. Padre Giuseppe, 82 anni, originario di Madonna dell'Olmo (Cuneo), è stato ucciso per rapina nel suo ufficio all'Istitudo di Studi filosofici della Consolata, da lui stesso creato. Tre persone, tra cui un suo ex allievo ed una ragazza, sono fuggiti di fatto senza nulla, perchè non c'erano soldi. La donna è stata presa dai guardiani, dopo aver gettato via il libretto d'assegni del religioso. Uno degli altri complici, l'ex allievo, è stato identificato con certezza, ma non è stato ancora preso. (M.G.)

lunedì 19 gennaio 2009

Blocco dei riti

In Myanmar il governo chiude le case di preghiera di cristiani e musulmani

◊ Il regime militare dispone il blocco dei riti e delle preghiere in edifici privati e abitazioni. Chi non si attiene alle nuove disposizioni subirà il sequestro del locale e “seri provvedimenti”. Da tempo la giunta non rilascia permessi per la costruzione di luoghi di culto. Il governo birmano ha disposto il blocco dei riti e delle preghiere in edifici privati e abitazioni. Chi non si attiene alle nuove disposizioni subirà il sequestro del locale e “seri provvedimenti”. Secondo fonti locali, il Ministero per gli affari religiosi ha ordinato ai proprietari dei locali di sottoscrivere un accordo in cui “vengono messi al bando i gruppi di preghiera e i servizi religiosi all’interno degli edifici”. “Di recente – aggiungono le fonti – alcuni incaricati del ministero hanno convocato i proprietari di edifici privati usati come case di preghiera e hanno consegnato un ordine in cui se ne proibisce l’uso come luogo di culto”. La fonte spiega inoltre che è proibito “riunirsi per pregare” o insegnare il catechismo e studiare il Corano. Quanti violeranno la disposizione, subiranno il “sequestro” o la “chiusura” dei locali. In Myanmar – sottolinea l’agenzia AsiaNews - il governo ha bloccato da tempo il rilascio di certificati di proprietà di terreni a organizzazioni religiose per la costruzione di chiese o luoghi di culto. La decisione ha spinto molti fedeli e pastori a riunirsi in luoghi privati, fra cui abitazioni private, che il più delle volte sono prese in affitto da terzi. In tutta Yangon ci sarebbero almeno 50 chiese domestiche. Un pastore di una chiesa protestante della cittadina di Pabedan – che chiede l’anonimato per ragioni i sicurezza – lamenta che ora “non si ha più un posto dove svolgere le funzioni della domenica”. “Dal 1990 – riferisce il pastore – le autorità non vendono terreni e non rilasciano autorizzazioni per la costruzione di chiese”. Un giovane fedele cristiano di Yangon chiarisce che circa “l’80% delle chiese sono incluse nel provvedimento. Solo una minima parte delle chiese possiede terreni di proprietà. Molte altre utilizzano edifici presi in affitto, case e uffici”. Musulmani, infine, non potranno più pregare o imparare i precetti del Corano nelle abitazioni. Si tratta di un bando che si somma al divieto di costruire moschee. In Myanmar il 90% dei fedeli è di religione buddista Theravada, il 5% è di fede cristiana e almeno il 4% sono di musulmani. (A.L.)

Cristiani lontanissimi solo fisicamente

Cina: 500 fedeli hanno celebrato il Natale nella steppa mongola

◊ Guardando per la prima volta il presepio, con Gesù Bambino posto al centro, l’albero di Natale con un messaggio evangelizzatore, i fedeli della comunità di Dong Sheng della città di Ordos, nella diocesi di Bao Tao della provincia autonoma della Mongolia Interna, sono rimasti profondamente commossi. Per la prima volta infatti, gli oltre 500 fedeli di questa piccola comunità cattolica in una zona sperduta della steppa mongola, hanno potuto celebrare il Natale in una “cappella”, ovvero un modestissimo edificio ricavato da 4 piccole stanze, con la celebrazione della Santa Messa. Secondo le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides, fin dal pomeriggio della vigilia di Natale, il cortile di questa piccola “chiesa” ha cominciato a riempirsi. Nel pomeriggio ha avuto inizio la solenne Eucaristia seguita dall’adorazione a Gesù Bambino, che è proseguita fino alla mezzanotte. Ma nessuno ha voluto andarsene dalla loro “casa” sia pure modesta: hanno fatto i fuochi artificiali per festeggiare il Natale del Signore e un incontro fraterno mettendosi sotto la protezione di Gesù Bambino. Secondo il “Manuale della Chiesa in Cina” dell’He Bei Faith Press, pubblicato nel 2006, il Vangelo è arrivato nella steppa mongola tra il Duecento ed il Trecento, soprattutto nella zona di Bao Tou. Grazie al lavoro dei missionari della Società per le Missioni Estere di Parigi, ai Lazzaristi ed ai missionari di Scheut, la comunità ha avuto un grande sviluppo tra la fine dell’ '800 e l’inizio del '900. Dopo l’istituzione della gerarchia in Cina, la Mongolia interna venne divisa in 7 diocesi. Oggi ci sono più 250.000 cattolici nella steppa mongola. La comunità cattolica di Bao Tou ne conta circa 40.000, con 8 sacerdoti e 14 suore che curano 13 parrocchie e cappelle, e 5 stazioni missionarie. (R.P.)

Ad un ginecologo congolese il premio Olof Palme

Ad un ginecologo congolese il premio Olof Palme

◊ Il premio Olof Palme, assegnato ogni anno a chi si è distinto nell'impegno per la pace e contro la guerra e le violazioni dei diritti umani, è stato assegnato a Denis Mukwege, 53 anni, ginecologo congolese. Mukwege è cofondatore del centro ospedaliero di Panzi, a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, dove ricevono assistenza migliaia di donne vittime della violenza sessuale. “Il suo lavoro – si legge nella nota della Fondazione Olof Palme ripresa dall’agenzia Misna – costituisce un esempio eccellente di ciò che il coraggio, la tenacia e la speranza possano realizzare a vantaggio dei diritti umani e della dignità della persona”. Il conflitto nelle regioni del Sud e Nord Kivu, sia durante la guerra sia nella successive fasi di ripresa degli scontri, è tra quelli in cui sembra evidente l’uso sistematico dello stupro di donne e bambine, utilizzato come arma di guerra. Il premio Olof Palme è stato istituito in memoria del primo ministro svedese, strenuo antimilitarista e difensore della pace, assassinato da ignoti nel 1986. Quest'anno verrà consegnato a Stoccolma il prossimo 30 Gennaio. Tra i premiati nelle precedenti edizioni, l’ex-presidente ceco Vaclav Havel e l’ex-segretario generale dell’Onu Kofi Annan. Recentemente, il medico congolese e il suo ospedale hanno ricevuto anche un riconoscimento Onu per i diritti umani. (A.L.)

Dal Bollettino della Radiovaticana 9 gennaio 2009

Caritas internationalis in aiuto alla popolazione congolese attaccata dai ribelli ugandesi

◊ Oggi, la Caritas Internationalis ha iniziato la distribuzione di generi non alimentari (stoviglie, vestiti, contenitori d’acqua e teloni per proteggersi) a circa cinquemila famiglie delle zone di Doruma, Faradje, Dungu e Isiro, nel nord della Repubblica democratica del Congo, dove nei giorni di Natale i ribelli ugandesi dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra) hanno attaccato la popolazione. Nei prossimi giorni, come riporta l’agenzia Fides, l’organizzazione internazionale porterà soccorso ad altre cinquemila persone. Nel periodo festivo, si calcola che i ribelli abbiano massacrato circa 400 persone a colpi di machete, bruciato villaggi e rapito bambini per arruolarli nelle proprie fila: “I racconti dei sopravvissuti sono spaventati – ha detto il portavoce di Caritas Congo, Guy-Marin Kamandji – gli abitanti dei villaggi sono scappati senza portare nulla con sé e la Caritas garantisce una risposta alle necessità di coloro che sono stati costretti alla fuga il giorno di Natale e nei giorni successivi”. A Natale a Faradje sono stati saccheggiati la parrocchia, l’ospedale, i negozi e diverse abitazioni; tra le vittime si contano anche il direttore dell’ospedale e sua figlia. La Conferenza episcopale congolese ha riferito che la penetrazione dei ribelli ugandesi in Congo è iniziata nel 2005 in maniera pacifica, ma a partire dallo scorso settembre è sfociata nel sangue, trasformandosi in una vera e propria guerriglia. Anche Benedetto XVI, dopo l’Angelus del giorno dell’Epifania, ha rivolto un “pensiero speciale” alle “decine di bambini e ragazzi che sono stati sequestrati dalle bande armate nella Repubblica democratica del Congo”. (R.B.)

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RD del Congo: allarme ebola, misure di sicurezza dei Paesi confinanti

◊ L’epidemia di ebola, la terribile febbre emorragica con indice di mortalità pari al 95%, in corso nella provincia di Kasai, al centro della Repubblica democratica del Congo, ha fatto aumentare le misure di sicurezza da parte dei Paesi confinanti, in modo da non far fuoriuscire il virus dal territorio congolese. Negli ultimi due mesi, secondo quanto riportato dall’agenzia Misna, nella provincia del Congo occidentale, si sono registrati infatti 13 decessi e ben 42 contagi dovuti a ebola. Se l’Angola ha già chiuso la frontiera per evitare il pericolo, la Tanzania ha appena inviato operatori sanitari nelle zone a rischio, e precisamente le regioni di Mbeya, Kagera, Rukwa, Kigoma e Mwanza, avviando programmi d’informazione e prevenzione presso la popolazione. Quanto all’ex Zaire, il Paese è ciclicamente teatro di epidemie di ebola: il virus allungato che attacca il sistema nervoso centrale, infatti, proprio qui venne isolato per la prima volta nel 1976 da ricercatori tedeschi. Il nome stesso, ebola, deriva dall’omonimo fiume, nella regione dell’Equatore. (R.B.)

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Africa: progressi nell'istruzione, ma ancora sono 160 milioni gli analfabeti

◊ Sono almeno 160 milioni gli adulti analfabeti in Africa, due terzi dei quali donne: lo ha detto il direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) Koichiro Matsuura intervenendo alla cerimonia per i festeggiamenti del centenario del King’s College di Lagos (Nigeria), una delle principali istituzioni educative dell’intera Africa occidentale. Matsuura - riferisce l'agenzia Misna - ha però sottolineato i recenti progressi del continente in materia di istruzione, dove si è registrato un aumento del 42% dell’accesso alle scuole primarie e secondarie, evidenziando comunque come le sfide ancora aperte (a cominciare dall’analfabetismo) debbano essere individuate come priorità dalle Nazioni Unite e dai governi del continente, dal momento che rappresentano uno dei principali freni allo sviluppo. Il segretario dell’Unesco ha poi indicato come altre sfide nel settore dell’istruzione l’ineguaglianza di possibilità fornite alle donne e la necessità di migliorare la qualità dell’insegnamento. Anche per questo, Matsuura ha chiesto alle grandi compagnie internazionali che negli ultimi anni hanno moltiplicato i loro volumi di affari con i paesi africani di destinare parte dei loro utili al finanziamento dell’educazione in Africa attraverso istituzioni terze. (R.P.)

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Kenya: ancora nessuna notizia certa sulle suore rapite

◊ Nessuna novità rilevante su Caterina Giraudo, 67 anni, e Maria Teresa Oliviero, 60, le suore missionarie del movimento ‘De Foucauld’ rapite in Kenya la notte tra il 9 e il 10 novembre 2008 da un commando guerriglieri somali. Secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire, il parlamentare Margherita Boniver, inviata per una missione di due giorni in Kenya dal ministro degli Esteri Franco Frattini, non ha confermato che giorni fa, ci sarebbero stati contatti con le due religiose, fatto che faceva sperare in una ripresa delle trattative da parte dei rapitori, dopo la fase di stallo della metà di dicembre. Tuttavia, l’ambasciatore italiano in Kenya, Pierandrea Magistrati, ha assicurato che, compatibilmente con la loro età e con le condizioni in cui hanno vissuto negli ultimi 25 anni, le due suore starebbero bene. Il ministro dell’Interno kenyano, George Saitoti, avrebbe rivelato a Margherita Boniver di aver pensato a un blitz armato per liberare le due sorelle, ipotesi abbandonata in seguito alla valutazione dei rischi connessi con l’operazione. Prima di lasciare il Paese, Boniver ha tenuto a sottolineare la gravità della vicenda, divenuta ormai intollerabile, e della situazione nell’area: “Il problema – ha spiegato – è che in Somalia ci sono segnali inquietanti che possa precipitare in una Repubblica islamica, il che preoccupa non poco i Paesi confinanti”. (R.B.)

Dal Bollettino della Radiovaticana: 8 gennaio 2009

Le suore della Congregazione del Rosario lasciano la loro casa di Gaza

◊ “La speranza non deve abbandonarci”: si fanno forza così le Suore della Congregazione del Rosario che ieri, per motivi di sicurezza, hanno dovuto abbandonare la loro casa a Gaza dove, nonostante tutto, contano di tornare il più presto possibile. Secondo la loro testimonianza, raccolta dall’agenzia Sir, la casa è stata danneggiata dalle bombe così come la scuola, che ha dovuto chiudere. Restano a casa, quindi, i 530 alunni che la frequentavano. “I bambini hanno paura – raccontano le religiose – i più piccoli non capiscono quello che succede intorno a loro”. La comunità di suore, prima di evacuare la zona, ha raccontato di non riuscire più a visitare le famiglie per verificarne le condizioni: la popolazione esce pochissimo di casa, durante la tregua giornaliera, e ha difficoltà ad acquistare anche i beni di prima di necessità a causa dei prezzi elevati, mentre gli aiuti umanitari arrivano tra mille difficoltà. (R.B.)

Dal Bollettino della Radiovaticana: 7 gennaio 2009

Vietnam. Il vescovo di Vinh Long al governo: dimostrate di proteggere le religioni

◊ “Dimostrate che il governo protegge tutte le religioni”: è la richiesta che il vescovo di Vinh Long, mons. Thomas Nguyen Van Tan, rivolge alle autorità in una lettera relativa alla vicenda del convento delle suore della Congregazione di San Paolo di Chartres, alle quali si dice “in piena unità”. “Vivo a Vinh Long – scrive ancora il vescovo ripreso dall’agenzia AsiaNews – dal primo settembre 1953. Allora, accanto all’antica cattedrale, c’erano una scuola, un convento ed una cappella, appartenenti alle suore della Congregazione di San Paolo. Ora tutto è stato ridotto ad un vuoto pezzo di terra. Chiedo al governo di riconsiderare la decisione di demolire il convento e la cappella per realizzare un piazzale sulla proprietà nella quale sorgevano”. A dare il polso di come si sta sviluppano la vicenda, getta luce anche un’altra lettera, scritta dalla superiora delle suore, Huynh Thi Bich Ngoc, che parte dalla decisione del 12 dicembre scorso, con la quale il Municipio ha ordinato la trasformazione della loro casa – abbattuta in un primo momento per farne un albergo di lusso - e del terreno circostante in un’area pubblica. “La Congregazione di San Paolo – racconta – è stata invitata per uno scambio di idee e una discussione, ma non ci sono stati né scambio, né discussione”. La suora si riferisce ad una lettera del Comitato del popolo che le invitava ad una riunione. “Nguyen Van Dau, capo del Municipio, ha semplicemente annunciato la decisione di trasformare il monastero in un piazzale pubblico”. “All’incontro – prosegue il documento – erano presenti giornalisti dei media governativi i quali hanno registrato e ripreso immagini e, malgrado il fatto che tutte le suore presenti si siano alzate ed abbiano protestato con veemenza, i media pubblici hanno raccontato che le religiose erano contente per la decisione presa e che la loro presenza era una conferma della loro soddisfazione”. (R.P.)

Dal Bollettino della Radiovaticana: 7 gennaio 2009

L'Associazione Papa Giovanni XXIII e "Misereor" in soccorso dei civili a Gaza

◊ “Condanniamo con forza l’inaudita violenza messa in atto dall’azione militare israeliana, e il lancio di razzi da parte palestinese”. E’ la denuncia fatta dai "Caschi Bianchi", dell’Associazione Papa Giovanni XXIII fondata da Don Benzi, e dal “Corpo nonviolento di Pace”. Le due associazioni presenti nei territori limitrofi, stanno cercando di entrare nella Striscia di Gaza per portare aiuti e soccorrere i tanti civili martoriati dalla guerra. In un documento firmato dai due responsabili, Paolo Ramonda e Antonio De Fillippis, si legge: “riteniamo sia inconcepibile pianificare un’operazione militare su così vasta scala in un’area così densamente popolata. Un’azione del genere non può non considerare l’enorme rischio che civili inermi restino coinvolti”, prosegue ancora il comunicato, “crediamo che il terrore, la paura, la morte e la distruzione che questa nuova esplosione di violenza sta provocando, darà come unico risultato quello di far rinvigorire la rabbia nei confronti dell’altra parte”. Da parte sua, il "Corpo nonviolento di Pace", che ha come missione quello di promuovere spazi di riconciliazione e pace, annuncia, come riporta il quotidiano Avvenire, che nei prossimi giorni cercherà di entrare nella città di Sderot colpita dai bombardamenti per portare aiuto alle persone in difficoltà. Intanto la sede tedesca dell'opera assistenziale "Misereor" ha stanziato 30mila euro per gli ospedali di Gaza, che si trovano ad operare in condizioni di emergenza senza gli strumenti primari. (F.C.)

Dal Bollettino della Radiovaticana: 6 gennaio 2009

India: la Corte suprema ordina alle autorità dell'Orissa di garantire la sicurezza dei cristiani

◊ La Corte suprema indiana ieri sera ha ordinato alle autorità dello Stato orientale dell’Orissa - teatro tra agosto e settembre scorsi di violenze contro i cristiani - di garantire la sicurezza di tutte le minoranze e in particolare delle migliaia di cristiani costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e a vivere in improvvisati campi per sfollati. Accogliendo un ricorso presentato dall'arcivescovo di Cuttack-Bhuaneswar, Raphael Cheenath, la Corte suprema ha più volte ribadito che non permetterà la persecuzione di nessuna minoranza in qualsiasi parte del parte del Paese visto che l’India è e resta uno Stato secolare. La Corte - informa la Misna - ha poi ordinato allo Stato dell’Orissa di non ritirare la protezione armata ai campi in cui si trovano gli sfollati della comunità cristiana, come dalle autorità locali nei giorni scorsi. Le violenze dei mesi scorsi - seguite all'omicidio del capo religioso indù, Laxmanananda Saraswati, ucciso il 23 agosto in un attacco rivendicato dai ribelli maoisti, ma che i radicali indù hanno continuato a imputare ai cristiani - hanno provocato almeno 38 vittime. Secondo fonti religiose locali, i morti sarebbero stati 62. (S.G.)

domenica 4 gennaio 2009

Persecuzioni e diritto all'informazione

(fonte radiovaticana)
Malaysia: pressioni contro il maggior settimanale cattolico
Limitare le edizioni multilingue all’inglese, al Mandarino e al Tamil, no all'edizione in malese: The Herald, il maggior settimanale cattolico della Malaysia, Paese in prevalenza musulmano, ha ricevuto questo ordine, nei giorni scorsi, dal Ministero dell’interno. Se rifiuterà di obbedire, potrebbe essere portato davanti al tribunale. Charles Collins ha raccolto la dichiarazione di padre Lawrence Andrews, direttore dell’Herald:00:01:54:05


R. – The reason for not permitting us to have the Malay section is because of the …
La ragione per cui non ci si vuole consentire di avere una sezione malese è che noi abbiamo intentato una causa contro di loro perché ci hanno proibito di utilizzare il termine malese che indica Dio e che è “Allah”. Ci hanno detto che la parola “Allah” è solo per i musulmani e non per altri. Ma nella lingua malese non esiste altra parola per indicare Dio e noi abbiamo affermato che, proibendoci l’uso di questo termine, il Governo ha violato la nostra libertà d’espressione e di parola, che è garantita dalla Costituzione. Quello che ci hanno fatto è irrazionale, irragionevole e illegale.

D. – Cosa rispondete a chi afferma che i cristiani in Malaysia non parlano il malese?

R. – It is not true that the population doesn’t speak malay. Since the independence …
Non è vero che la popolazione non parla il malese. Fin dalla sua indipendenza, il Paese ha sostenuto la lingua nazionale, tant’è vero che nelle scuole, dalle elementari alle superiori, la lingua d’insegnamento è il malese. Tutti abbiamo frequentato le scuole pubbliche statali, e l’insegnamento si svolge in lingua malese. Ora, gran parte delle persone che vivono nel Borneo sono nativi e rappresentano più del 50 per cento della popolazione cattolica, e la loro lingua nativa è proprio il malese.

D. – Lei ha l’impressione che questo sia segno di una maggiore presenza dell’Islam nella politica, in Malaysia?

R. – It looks as though this is becoming so. But very subtly. …
Sembrerebbe di sì, anche se il tutto avviene in maniera molto sottile. In realtà, quando il giornalista del nostro quotidiano locale ha intervistato l’uomo che ha firmato la lettera che ci proibiva di usare la lingua malese, questo ha avvertito che avrebbero osservato in maniera molto attenta il nostro quotidiano, che l’avrebbero monitorato, e che se avessimo violato l’ordinanza emessa, avrebbero adottato misure più severe. Questo è un linguaggio molto duro. Direi che stanno diventando un po’ aggressivi nei nostri riguardi.