Una verità irrisolta

Una verità irrisolta
ispirazione quindi impegno

martedì 28 settembre 2010

"Insieme verso Luján"


AMERICA/ARGENTINA - Pellegrinaggio “mediatico”: un milione e mezzo di giovani a piedi verso la Madonna di Lujan seguiti via web
Luján (Agenzia Fides) – Sabato prossimo, 2 ottobre, in Argentina si svolgerà il 36mo. Pellegrinaggio Giovanile verso Lujan, che si svolge tutti gli anni, ma che questo anno conterà su una maggiore partecipazione perché sarà accompagnato spiritualmente da moltissima gente attraverso il web. Secondo le informazioni inviate all’Agenzia Fides, il 2 ottobre a partire dalle ore 22 (in Argentina) sarà trasmesso il programma "Insieme verso Luján" attraverso la "Catena Mariana della Fede", di cui fanno parte 81 emittenti (AM e FM) che coprono l'intero territorio argentino, e anche da oltre 30 siti internet visibili da tutto il mondo attraverso il web.
Il 36° Pellegrinaggio dei Giovani "a piedi verso Lujan" con lo slogan: "Madre, vogliamo una patria per tutti", è l'evento religioso più importante dell’Argentina, e riesce a radunare annualmente più di un milione di giovani che camminano per circa 60 Km. verso la Basilica nazionale di Nostra Signora di Luján, patrona di Argentina, Cile, Uruguay e Paraguay.
Con i telefoni cellulari in diretta per tutta la notte, il programma coinvolgerà anche i Vescovi delle diocesi attraversate dai pellegrini, mentre dagli studi verrà presentato un programma speciale su Nostra Signora di Luján, la sua storia, i suoi miracoli, ecc. e su temi attuali come la difesa della vita, della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna. (CE) (Agenzia Fides, 28/09/2010)

Caso Ayodhya in India

ASIA/INDIA - "Caso Ayodhya": 8.000 arresti per prevenire violenze, verdetto il 30 settembre
New Delhi (Agenzia Fides) – La polizia indiana in Uttar Pradesh è in stato di massima allerta per prevenire incidenti e violenze, mentre la Corte Suprema, nell’udienza di oggi, 28 settembre, ha rigettato la richiesta di ulteriori rinvii per il verdetto sul caso di Ayodhya (vedi Fides 24/9/2010). La Corte Suprema ha stabilito che la sentenza sarà emessa il 30 settembre alle ore 3.30 p.m., ora locale
Il processo, in corso presso il tribunale di Allahabad, riguarda un terreno conteso fra la comunità indù e quella musulmana. Sul terreno sorgeva, fino al 1992, la moschea di Babri, rasa al suolo da estremisti indù che rivendicavano un antecedente tempio del dio Rama nello stesso luogo. Il caso, che allora sfociò in aperte violenze e 2.000 morti, crea ancora oggi forti tensioni sociali e preoccupazioni alle autorità indiane, che temono nuove esplosioni di violenza interreligiosa.
Per monitorare la situazione nelle principali città dell’Uttar Pradesh, il Ministro degli Interni della Federazione indiana, P. Chidambaram, ha incontrato i vertici civili e militari dello stato. Le forze di sicurezza hanno lanciato una vasta campagna preventiva, arrestando complessivamente nelle città e nei piccoli centri dello stato, oltre 8.000 elementi estremisti, considerati “antisociali”, e potenziali provocatori di scontri interreligiosi. Inoltre, circa 55mila uomini, su invito delle autorità e della polizia, hanno sottoscritto un documento in cui si impegnano a non arrecare disturbi alla pace sociale nei prossimi sei mesi.
Attualmente le forze di polizia pattugliano tutto il territorio e controllano specialmente l’area di Malwa e alcuni quartieri intorno a Bhopal, Jabalpur e Sagar, identificati come aree particolarmente esposte a rischio di violenze. In tali località molti esercizi commerciali restano chiusi per timore di disordini.
Le misure di sicurezza sono state estese anche alla telefonia e all’informatica: fino al 30 settembre sono disattivati su tutti i telefoni cellulari i messaggi collettivi tramite SMS e MMS, utilizzati in passato come strumenti per diffondere velocemente appelli e convocare manifestazioni violente.
Nel frattempo dalla società civile dell’Uttar Pradesh si levano voci e parole di pace: molte Ong locali riferiscono a Fides che “la società è più matura rispetto a 20 anni fa. Oggi i giovani sono consapevoli che dietro il caso di Ayodhya vi era un gioco e un calcolo politico, e che occorre rispettare il verdetto della Corte, quale esso sia”.
Anche i leader religiosi sono scesi in piazza in un corteo pacifico tenutosi ieri a Jaipur (località nello stato di Rajastan, al confine con l’Uttar Pradesh), proclamando per le strade il loro comune desiderio di pace e di riconciliazione. Il corteo, a cui hanno partecipato leader indù, musulmani, buddisti e cristiani, ha coinvolto anche le autorità civili e cittadini comuni, per dare “un messaggio di pace e di armonia a persone di tutte le religioni”. S. Ecc. Mons, Oswald Lewis, Vescovo di Jaipur, ha dichiarato a Fides: “I fedeli cattolici hanno preso parte al corteo con tutto il cuore : vogliamo costruire la pace nella nazione e pregare per la pace. Diciamo a tutti che la pace nel paese è un bene più importante di un pezzo di terra. Nei rapporti con indù e musulmani, cerchiamo di favorire il dialogo interreligioso e di cogliere le opportunità per coltivare l’amicizia e l’armonia”. (PA) (Agenzia Fides 28/9/2010)
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ASIA/INDIA - Scheda - Ayodhya, quando la politica manipola la religione
New Delhi (Agenzia Fides) – Il “caso Ayodhya” rappresenta un paradigma perfetto di come la religione possa essere strumentalizzata per fini politici, ottenendo il massimo risultato. Il dissidio in questione appare di primo acchitto strettamente giuridico-religioso: due differenti comunità di fedeli rivendicano il diritto di costruire un tempio in uno stesso luogo. Ma il caso ha costituito la “rampa di lancio” nell’agone politico di un partito nazionalista apparso sulla scena indiana in tempi recenti, solo nel 1980: il Baratiya Janata Party (“Partito del Popolo Indiano”), giunto in meno di vent’anni fino al governo federale della vasta nazione indiana. Il partito, che si è alimentato continuamente dell’ideologia nazionalista dell’hindutva (“induità”, al motto “l’India agli Indiani”), ha cavalcato la tensione interreligiosa e sfruttato a proprio vantaggio la disputa di Ayodhya.
Il casus belli riguarda un sito dove nel 1528 il sultano moghul Babur ordinò la costruire di una moschea, la Babri Masjid, proprio nel punto in cui, secondo gli induisti, sorgeva in precedenza un tempio dedicato al Dio Rama, una delle reincarnazioni della divinità Visnù.
I primi attriti fra le comunità religiose si registrano già nel 1859 e l’amministrazione coloniale britannica decide di ergere una staccionata sul luogo conteso. Un secolo dopo, il dissidio non è sopito: all’interno della moschea appare un simulacro del Dio Rama, scatenando la proteste dei musulmani, che intentano una prima causa civile. Il governo dichiara il luogo “area contesa” e pone la moschea sotto sequestro.
Occorre però aspettare gli anni ‘80 perchè la contesa sfoci in aperta violenza: nel 1984 il movimento fondamentalista indù “Vishwa Hindu Parishad” (VHP, “Consiglio Mondiale Indù”) forma un comitato per “liberare” quello che viene definito “il luogo di nascita di Rama”, al fine di costruire un tempio in suo onore. A questo punto il leader del BJP Lal Krishnan Advani assume la leadership della campagna contro la moschea: da allora il tema di Ayodhya sospinge le fortune elettorali del BJP, che passa rapidamente dal 7,4% dei consensi nel 1984 fino al 21,1% del 1991. Quando nel 1991, il BJP si aggiudica le elezioni nello stato di Uttar Pradesh, si prepara il peggio: il 6 dicembre 1992 la moschea viene rasa al suolo da una folla di militanti indù, sotto gli occhi immobili della polizia. Ben presto si scatenano ritorsioni e scontri fra musulmani e indù,con un tragico bilancio di oltre 2.000 morti. Il sito viene posto sotto sequestro. Pur con un alto tributo di sangue, la vicenda ha raggiunto il suo scopo: compattare le fila e aumentare il consenso sociale fra i correligionari, che si tradurrà in sostengo politico per il BJP. Il percorso del partito si concluderà quando il BJP otterrà nel 1996 la maggioranza relativa e nel 1998 il governo del paese.
Uno strascico ulteriore si avrà nel 2002, quando il Premier indiano Atal Bihari Vajpayee, del BJP, annuncia la posa del prima pietra del tempio indù ad Ayodhya, per poi ritirare il proclama. Ma gli estremisti vanno avanti e si preparano alla celebrazione della posa. La tensione latente esplode quando, il 26 febbraio 2002, un treno carico di “volontari del Dio Rama” viene assalito da militanti islamici nella stazione di Ghodra, in Gujarat. Si scatenano nuove violenze interreligiose, con oltre 700 morti.
La contesa finisce in tribunale. Nel processo vengono ascoltate le testimonianze degli archeologi, sulla presenza di resti di un tempi indù antecedenti alla moschea. Giovedì 30 settembre il tribunale di Allahabad emetterà la sentenza, a cui potrà comunque seguire un processo di appello. (PA) (Agenzia Fides 28/9/2010)

domenica 26 settembre 2010

Radivaticana: Discorso del Papa ai vescovi Brasiliani

Abbiamo bisogno del perdono per rinnovare noi stessi e la nostra società: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nel discorso ai vescovi brasiliani della regione Leste 1, che comprende lo Stato di Rio de Janeiro. Il Papa ha inoltre ribadito l’attenzione che la Chiesa deve riservare alle giovani generazioni. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto da mons. Rafael Llano Cifuentes, vescovo emerito della diocesi di Nova Friburgo e presidente della regione Leste 1. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“O núcleo da crise espiritual do nosso tempo…”
“Il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo – ha affermato il Papa – ha le sue radici nell’oscuramento della grazia del perdono”. Quando questo non viene riconosciuto come “reale ed efficace”, ha soggiunto, si tende a liberare la persona dalla colpa. Ma, nel suo intimo, ha osservato, le persone sanno che questo tipo di libertà non è vera, che il peccato esiste e che noi siamo peccatori. Il Papa ha anche rilevato che alcune correnti della psicologia vorrebbero cancellare il senso della colpa. D’altro canto, ha aggiunto, Gesù è venuto a salvare non quelli che si sono liberati da sé pensando di non aver bisogno di Lui, ma quanti sentivano di essere peccatori e di aver bisogno di lui:

“A verdade é que todos nós temos necessidade d’Ele…”
“La verità – ha ribadito – è che tutti abbiamo bisogno” del Signore, come di uno Scultore divino che rimuove le incrostazioni che si posano sull’immagine di Dio che è inscritta dentro di noi. “Abbiamo bisogno del perdono”, ha detto ancora, quale fondamento di una vera riforma, che rinnovandoci nel nostro intimo, rinnova anche la nostra comunità. Solo con il perdono, è stata la sua riflessione, torneremo somiglianti a Cristo e come San Paolo potremo allora dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”:

“Somente a partir desta profundidade de renovação…”
“Solamente a partire da questa profondità di rinnovamento dell’individuo – ha soggiunto Benedetto XVI – nasce la Chiesa”. Ed ha messo l’accento sulla gioia che deriva da questa purificazione. Una gioia che deve trasparire dalla Chiesa, contagiando il mondo, giacché la Chiesa è “la giovinezza del mondo”. Proprio i giovani sono stati l’altro tema forte del discorso del Papa ai vescovi brasiliani:

“Rica de um longo passado sempre vivo…”
“Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente”, ha detto il Papa richiamando il Concilio Vaticano II, la Chiesa è “la vera giovinezza del mondo”. Guardatela, ha detto rivolgendosi ai giovani e “voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani”. Benedetto XVI ha ricordato quanto il suo predecessore Giovanni Paolo II tenesse alla gioventù. In particolare, ha rammentato la toccante immagine dei giovani in fila al Circo Massimo, nell’anno 2000, per andarsi a confessare. Per convincere il mondo che la Chiesa è giovane, ha concluso, è dunque necessario puntare sui giovani di oggi.

venerdì 24 settembre 2010

Tasse in Pakistan

ASIA/PAKISTAN - La società civile: più tasse ai ricchi per aiutare gli alluvionati
Islamabad (Agenzia Fides) – Il Pakistan dovrebbe riformare radicalmente il sistema di tassazione dei cittadini, aumentando il prelievo fiscale sui più ricchi, in modo da poter destinare maggiori risorse all’emergenza alluvioni: è quanto chiedono la società civile del Pakistan, la Chiesa, e organizzazioni internazionali, mentre il paese si trova ad affrontare la più grandi emergenza umanitaria della sua storia.
“Occorre un grande sforzo di solidarietà nazionale: se lo stato induce le persone benestanti a rinunciare a parte della loro ricchezza, a beneficio della collettività, oggi, in particolare, per gli alluvionati, sarebbe certo un buon passo avanti per l’intera nazione”, dice a Fides Peter Jacob, Segretario Esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace”, in seno alla Conferenza Episcopale.
Secondo gli osservatori, il Pakistan ha un sistema di prelievo fiscale fra i più leggeri al mondo, pari a circa il 9% del valore dell’economia. Secondo Akbar Zaidi, economista che di recente ha pubblicato un rapporto sul sistema fiscale pakistano per il centro studi internazionale “Carnegie Endowment for International Peace”, uno dei problemi principali è che “molti cittadini evitano del tutto di pagare le tasse”. Meno del 2% dei 175 milioni di cittadini paga una tassa sui propri introiti, nota il Rapporto. E un comparto produttivo come l’agricoltura – uno dei principali nell’economia del paese, in mano a grandi famiglie di latifondisti – è totalmente esente da un prelievo fiscale.
“E’ giunto il momento che la piccola élite ricca del paese, che include l’esercito, i proprietari terrieri, le classi medie urbane, diano parte della loro ricchezza per il benessere dell’intera popolazione”, dice in una nota inviata a Fides un forum di organizzazioni nella società civile pakistana.
Secondo le organizzazioni, una modifica del sistema, che porti il livello del prelievo fiscale intorno al 15%, consentirebbe allo stato di generare 10 miliardi di dollari, che potrebbero essere immediatamente destinate alla gestione dell’emergenza, che ha colpito 20 milioni di persone e distrutto oltre 1,8 milioni di abitazioni. Quel denaro, si afferma, potrebbe servire per ricostruire le infrastrutture come ponti, strade e scuole, tutti beni primari per la riabilitazione economica e sociale della nazione.
Su spinta del Fondo Monetario Internazionale, il governo pakistano aveva promesso che avrebbe introdotto una riforma del sistema fiscale nel luglio scorso, ma proprio l’abbattersi delle alluvioni ha fatto rinviare il progetto. Oggi si dibatte su una possibile “tassa una tantum” sulle proprietà urbane e agricole, a carico dei cittadini non colpiti dalle inondazioni, ma non è chiaro se la proposta passerà, nè quanto denaro potrà generare per le casse dello stato. (PA) (Agenzia Fides 24/9/2010)

martedì 21 settembre 2010

La parola al Nunzio di Haiti

AMERICA/HAITI - “La situazione umanitaria è sempre di emergenza. Più di un milione di sfollati vive nelle tende e il numero aumenta”: a Fides la testimonianza del Nunzio ad Haiti
Port-au-Prince (Agenzia Fides) – “La situazione umanitaria è sempre quella di emergenza. Più di un milione di sfollati dal terremoto vivono ancora in campi di fortuna che, invece di diminuire di numero, sono aumentati. Anche i poveri che vengono dalle province in cerca di aiuto e di lavoro ingrossano i campi”. Il Nunzio apostolico ad Haiti, Sua Ecc. Mons. Bernardito Auza, descrive con queste parole all’Agenzia Fides la situazione a più di nove mesi dal terremoto che ha sconvolto l’isola, il 12 gennaio 2010. “Si vedono tanti nuovi campi di fortuna sulle colline, nella parte nord di Port-au-Prince – prosegue il Nunzio -, probabilmente per paura delle inondazioni, che grazie a Dio finora non sono arrivate. Infatti nessun uragano ha colpito il Paese e non vi sono state piogge torrenziali e protratte, per cui non vi sono state inondazioni”.
Mons. Auza sottolinea che “una soluzione che possa risolvere il problema degli sfollati sembra introvabile, fino adesso. Il primo campo di transizione allestito dal governo e dalla comunità internazionale nella zona di Corail, al nord/nord est della Capitale sembra aver fallito l’obiettivo, per mancanza di servizi ed altre cose. Si dice che la metà delle circa 10.000 persone portate in quel campo sarebbero già tornate in città. A mio avviso, la soluzione migliore è quella seguita dal Catholic Relief Services (CSR), cioè di riportare le famiglie nelle loro comunità di origine, nei loro quartieri, nei luoghi dove erano le loro case. Il CRS costruisce delle case provvisorie per loro proprio dove erano le loro abitazioni. Costruire case definitive non è nemmeno nell'agenda, sarebbe troppo costoso e non sarebbe comunque dovere del governo e della comunità internazionale farlo, almeno in questo periodo dove ci sono altre grandi necessità. Vi sono comunque alcune Ong che cercano di costruire case permanenti”.
Riguardo alle elezioni presidenziali, parlamentari e locali, che si terranno il 28 novembre 2010 (primo turno), l’Arcivescovo riferisce che esse occupano l'attenzione di tutti: “I problemi politici (come il boicottaggio dell'opposizione) e logistici (ad esempio la registrazione degli elettori e il rilascio di carte d'identità) sono enormi, ma Haiti e la comunità internazionale credono che ciònonostante occorra tenere le elezioni, per consolidare la stabilità politica. Vi sono 19 candidati in lizza per la poltrona del Presidente della repubblica”.
Infine il Nunzio si sofferma sulla fase della ricostruzione: “la ricostruzione propriamente detta non è ancora cominciata. Lo Stato ha già definito il centro città di Port-au-Prince, quasi completamente distrutta dal terremoto, come il futuro nuovo centro governativo, dove saranno costruiti gli edifici statali, i ministeri, etc. Ma i progetti non sono ancora definiti. Dentro la zona definita si trova anche il sito della Cattedrale, che è stata distrutta. La Chiesa, da parte sua, ha tantissimi progetti, ma le costruzioni non sono ancora cominciate. Speriamo che in occasione del primo anniversario del terremoto potremo lanciare i primi progetti, come la ricostruzione del Seminario maggiore nazionale. Per ora i seminaristi sono ospitati in grandi tende semipermanenti che possono durare anni. Speriamo che entro tre anni potremo inaugurare un nuovo moderno Seminario maggiore”. (CE) (Agenzia Fides, 21/09/2010)

Comitato per la pace

ASIA/PAKISTAN - Paura fra i cristiani di Karachi, condannati alla “precarietà”
Karachi (Agenzia Fides) – “Non ci sono minacce imminenti, ma la paura nella comunità cristiana è comunque palpabile. In Pakistan noi cristiani siamo in una condizione di forte precarietà: non sappiamo cosa potrà accadere nei prossimi cinque minuti”, dice all’Agenzia Fides p. Saleh Diego, Presidente della “Commissione Giustizia e Pace” della diocesi di Karachi, all’indomani della notizia di un attacco, avvenuto la sera del 18 settembre, a una chiesa cristiana Pentecostale, nel quartiere di Shah Latif Town, a Karachi.
La chiesa è stata attaccata e saccheggiata da un gruppo di estremisti islamici che hanno bruciato arredi e libri sacri. Secondo fonti locali, l’attacco è legato alla vicenda della “Giornata del rogo del Corano”, che non ha ancora spento la sua eco, e che tuttora viene utilizzata da alcuni leader musulmani estremisti per alimentare l’odio anticristiano.
P. Saleh Diego aggiunge: “Condanniamo l’attacco, chiediamo la protezione del governo e, come comunità cristiana in Pakistan, la possibilità di vivere tranquillamente e liberamente nel nostro paese. Esigiamo il rispetto per tutti i luoghi sacri e per i libri sacri, di qualsiasi religione”.
Il sacerdote, che è anche Cancelliere della diocesi di Karachi, racconta a Fides: “Ho appena parlato con il Vescovo, S. Ecc. Mons. Evarist Pinto, che ha espresso la sua preoccupazione: vogliamo evitare che, come accaduto nei mesi passati, episodi di violenza contro luoghi o quartieri cristiani possano espandersi ad altre parti della città”.
Certo, nota p. Diego, non si possono tralasciare i “gesti avventati” di alcune denominazioni cristiane protestanti, che hanno un atteggiamento ben poco dialogico verso i musulmani: “La chiesa attaccata, nata due o tre anni fa, sorgeva nel bel mezzo di un quartiere musulmano, non aveva un Pastore e ben pochi cristiani la frequentavano. Era molto esposta ed era un facile bersaglio per gli estremisti”, spiega.
In questa situazione, la Chiesa cattolica di Karachi è attiva nel dialogo con le altre comunità religiose e con le istituzioni per disinnescare altre tensioni. “Stiamo costituendo, a livello cittadino, uno speciale ‘Comitato per la pace’ che riunirà leader cristiani di diverse confessioni, e che coinvolgerà leader musulmani e leader civili. Continuiamo a lavorare per l’armonia religiosa e sociale, un bene prezioso, da tutelare nella nostra città”. (PA) (Agenzia Fides 21/9/2010)

La Citè Guanella

AFRICA/R.D.CONGO - Microcredito per 17 giovani della Cité Guanella
Kinshasa (Agenzia Fides) - Nuova esperienza di autonomia e responsabilità per 17 giovani accolti nella Citè Guanella, 11 dei quali già reinseriti in quattro villaggi circostanti e 6 ancora minori, sotto tutela dei guanelliani, fino al compimento della maggiore età. Il progetto, partito alla fine di maggio, ha previsto un programma specifico di formazione al microcredito, per la realizzazione e la gestione di microimprese. “Le attività scelte dai giovani, si legge in una nota di padre Guido Matarrese, responsabile della Citè Guanella, sono per la maggior parte agricole e prevedono la coltivazione di un ettaro di terreno con culture miste: manioca, melanzane pluviali, peperoncino pluviale, verdure locali. Uno dei giovani ha preferito realizzare una boutique commerciale a Kinshasa, mentre un altro, ha scelto di avviare una piccola attività come barbiere in città”. I sei minorenni, di circa 17 anni, sono stati coinvolti nell’avviamento di una boutique per la vendita di prodotti vari di consumo presso la Cité Guanella. “Il ricavato in questo caso, sottolinea padre Guido, servirà in primis a saldare il credito ricevuto e successivamente ad accumulare il piccolo capitale che permetterà a ciascuno dei 6 giovani, una volta raggiunti i 18 anni, di diventare autonomi economicamente, prendendo ciascuno la propria strada”. L’iniziativa è stata curata dalla ong italiana CISP (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli), che ha ottenuto un finanziamento specifico per la promozione del progetto. (AP) (21/9/2010 Agenzia Fides)

venerdì 17 settembre 2010

Esaltazione della Santa Croce in Cina

 Oltre 5.000 fedeli in pellegrinaggio al Santuario della Santa Croce nella diocesi di Zhou Zhi
Zhou Zhi (Agenzia Fides) – Oltre 5.000 fedeli cinesi del continente, provenienti da diverse diocesi, hanno compiuto un pellegrinaggio al Santuario dedicato alla Santa Croce, che si trova nel distretto di Mei Xian della diocesi di Zhou Zhi, nella provincia dello Shaan Xi, nella festa della Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre. Essendo un giorno feriale, tanti fedeli hanno anticipato il pellegrinaggio alla domenica precedente, 12 settembre. Secondo quanto riferito all’Agenzia Fides da Faith dell’He Bei, una trentina di sacerdoti sono stati messi a disposizione dalla diocesi per soddisfare le esigenze spirituali e pastorali dei tanti pellegrini. I fedeli si sono quindi divisi tra la chiesa di San Giuseppe, che si trova ai piedi della montagna dove sorge il Santuario, nella chiesa dedicata a Nostra Signora e nel padiglione dedicato a Gesù, sulla cima della montagna, per le Confessioni, la preghiera, la recita del Rosario, la Via Crucis e la Celebrazione Eucaristica, fin dalle 6 del mattino. Infatti a quell’ora i pellegrini avevano già riempito il Santuario e tutti i sentieri che vi conducono. Nell’omelia i sacerdoti hanno sottolineato l’importanza della Sacra Scrittura, della preghiera e del segno di Croce, perché “sono fondamentali per la vita cristiana”. (NZ) (Agenzia Fides 17/09/2010)

Annuncio cristiano

ASIA/PAKISTAN - Un Pastore cristiano aggredito “perché predica la salvezza in Cristo”
Lahore (Agenzia Fides) – E’ un attentato contro la libertà religiosa, che lo stato deve tutelare: così fonti di Fides in Pakistan commentano la recente aggressione subita dal Pastore Emmanuel Beshir, della “Chiesa Pentecostale della Città Santa”. Il Pastore guida una comunità e predica l’annuncio cristiano nella zona di Kasur, a Sud di Lahore, nel Punjab.
Come racconta una nota inviata all’Agenzia Fides dall’ “International Christian Concern” – organizzazione che monitora le violenze sui cristiani nel mondo – il 13 settembre, alle nove di sera, il Pastore stava rientrando dal villaggio di Bahmani Wala, quando cinque uomini lo hanno fermato chiedendogli: “Perchè predichi che Gesù Cristo è il Signore e che nessuno può salvarsi senza di Lui?”. Il Pastore ha replicato: “Non smetteremo mai di predicare il Signore Gesù Cristo a tutte le nazioni”. A queste parole, i cinque uomini lo hanno assalito e percosso, procurandogli fratture alla mano destra e diverse ferite. Il Pastore Beshir è attualmente ricoverato al Farooq Hospital a Lahore. “Non sono riuscito a identificare gli aggressori per l’oscurità”, ha detto, affermando che “chi predica il Vangelo va incontro a difficoltà e persecuzioni”.
Nell’insediamento cristiano di Bahamani Wala i fedeli sono già stati vittime di aggressioni a giugno del 2009, quando oltre 600 musulmani estremisti hanno attaccato i residenti del villaggio, con false accuse di blasfemia, distruggendo case, negozi e proprietà. (PA) (Agenzia Fides 17/9/2010)

giovedì 16 settembre 2010

Ancora Estremismo da Fides

Lahore (Agenzia Fides) – Sono molte, ben organizzate, efficaci; assistono solo profughi di religione musulmana; al loro interno si celano associazioni legate all’estremismo islamico, bandite dal governo, che agiscono “con secondi fini”: è questo il quadro descritto all’Agenzia Fides da Vescovi, sacerdoti e volontari cristiani che parlano dell’assistenza dei gruppi musulmani agli alluvionati. Secondo fonti di Fides, solo nella provincia del Punjab sono almeno 65 i campi gestiti da organizzazioni islamiste radicali, dichiarate illegali.
“I gruppi islamici di carità sono molto attivi e si muovono molto bene. Riescono a conquistare le simpatie della popolazione e ci riescono. Prestano le loro attenzioni agli sfollati musulmani”, dice a Fides S. Ecc. Mons. Lawrence Saldanha, Arcivescovo di Lahore e Presidente della Conferenza Episcopale.
“Le numerosissime organizzazioni musulmane impegnate oggi in soccorso agli sfollati delle alluvioni si occupano solo dei musulmani. Quando i cristiani si avvicinano loro, vengono allontanati”, precisa in un colloquio con Fides p. Mario Rodrigues, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan.
P. Robert McCulloch, missionario di San Colombano a Hyderabad, sottolinea i distinguo: “La grande maggioranza dei musulmani mostra grande generosità nell'assistenza. Pochi gruppi estremisti perseguono i loro fini anche in questa tragedia e vogliono sfruttare la disperazione dei profughi a proprio vantaggio”.
Alwin Murad, volontario cattolico, spiega a Fides: “Alcune organizzazioni fondamentaliste distribuiscono cibo e invitano a pregare Allah. E’ possibile che, se si avvicinano sfollati non musulmani, chiedano loro di convertirsi all’islam. Soprattutto in aree come Charsadda, Peshawar, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa o nel Sud Punjab. Gruppi banditi dal governo hanno cambiato nome e sono registrati come Ong islamiche. Questi strumentalizzando l'assistenza umanitaria. I profughi sono un bersaglio facile”.
Ayub Sajid, cattolico, direttore della Ong “Organization for Development and Peace”, rimarca a Fides: “Questi gruppi cercano spazio nella società e lo trovano, per le dimensioni della tragedia e per la fatica del governo nei soccorsi. Operano anche in funzione elettorale, cercando consenso e voti. Ai cristiani viene detto di andare a cercare assistenza dai loro rappresentanti”.
Conferme giungono dalle drammatiche testimonianze inviate a Fides dalle Ong locali. Abid Masih, padre di 4 figli profugo dal Muzaffargarh, racconta: “Dopo alcune peregrinazioni, ci siamo ritrovati in un campo profughi dell’organizzazione religiosa islamica ‘Sip-e-Sahaba’. Ci hanno detto di andarcene o se volevamo diventare musulmani”.
Basharat Gill, residente a Shakargarh, nel Punjab, afferma: “Con la mia famiglia di 12 persone, ci siamo diretti a Narowal. Abbiamo raggiunto un campo amministrato dal gruppo legato alla Lashkar-e-Taiba. Ci hanno dato cibo per un giorno. Poi, nel bel mezzo della notte ci hanno cacciato”. (PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)

Estremismo

Islamabad (Agenzia Fides) – Mentre la macchina degli aiuti umanitari arranca, gruppi islamisti radicali prendono piede e trovano sempre maggiore spazio nella operazioni di assistenza agli sfollati: è l’allarme giunto all’Agenzia Fides dal mondo delle Ong, da volontari e leader cattolici, nonché dalle istituzioni civili pakistane. Mentre le piogge e inondazioni continuano nel Sud del paese, e il governo è in difficoltà, “i gruppi islamici vanno a riempire il vuoto lasciato dalle istituzioni. I campi organizzati dal governo e gestiti dalla protezione civile non riesono ad accogliere tutti gli sfollati. Una buona parte del lavoro lo fanno le agenzie internazionali e le Ong private. In tale contesto si infiltrano anche organizzazioni caritative diretta espressione di gruppi islamisti radicali, che usano una diversa denominazione”, spiega all’Agenzia Fides un membro della “Commissione per i Diritti umani del Pakistan”, nota Ong pakistana.
“Vi sono ancora milioni di persone esposte a fame e malnutrizione”, ha detto ieri Valerie Amos inviato speciale dell’Onu in Pakistan. A sette settimane dall’inizio della tragedia, crescono nella società civile, nella politica e nell’opinione pubblica i timori che i gruppi radicali islamici utilizzino l’assistenza umanitaria per conquistare consenso e reclutare nuovi volontari.
Secondo l’Institute for Conflict Management (ICF), think tank specializzato sull’Asia meridionale, sono attive sul terreno anche formazioni dichiarate illegali alivello internazionale: “Gruppi militanti come Harkat-ul-Jihad-al-Islami (HuJI), Jaish-e-Mohammad (JeM), Harkat-ul-Mujahideen (HUM), Jama’at-ud-Da’awa (JUD), Lashkar-e-Toiba (LeT), e formazioni islamiste radicali come Jamaat-e-Islami (JeI), stanno traendo vantaggio dalla situazione delle inondazioni, raccogliendo denaro da destinare agli alluvionati”.
Gli aiuti dai paesi musulmani e dai fedeli musulmani in tutto il mondo si sono moltiplicati nel mese del Ramadan, attraverso il meccanismo della “Zakah”, l’elemosina obbligatoria che ogni musulmano è tenuto a versare, soprattutto alla fine del Ramadan (la “Zakat al-Fitr”), offerta destinata alle persone bisognose.
L’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), formata da 57 paesi musulmani, ha annunciato aiuti per oltre un miliardo di dollari provenienti per la maggior parte da paesi come Arabia Saudita, Turchia , Kuwait, Emirati Arabi e Qatar, senza specificare se tali aiuti passeranno attraverso il governo pakistano o organizzazioni indipendenti. Il Primo Ministro Yousuf Raza Gilani ha criticato apertamente le donazioni compiute a Ong private. D’altro canto, membri dell’associazioni musulmana “Falah Insaniat Foundation”, molto attiva nel soccorso agli sfollati su tutto il territorio – diretta espressione della “Jamaat au-Dawa” – dichiarano apertamente alla stampa: “La gente si fida più di noi che del governo”.
Molti osservatori sottolineano che organizzazioni islamiche, legali o illegali, stanno lavorando con grande efficacia. “Per contrastare l’estremismo islamico, urge una azione umanitaria comprensiva e coordinata fra stato, agenzia internazionali, e Ong, per lasciare poco spazio a questo opportunismo”, dicono a Fides volontari cattolici impegnati sul terreno. (PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)

La situazione in Pakistan Intervista al Vescovo di Islamabad-Rawalpindi.

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – I gruppi che danno cibo con secondi fini, “non fanno carità, non agiscono secondo Dio. Quella non è carità, né misericordia, è ben altro”: dice in una intervista all’Agenzia Fides S. Ecc. Mons. Rufin Anthony Vescovo di Islamabad-Rawalpindi.

Com’è la situazione dei cristiani dopo le alluvioni?

Molti cristiani sono ospitati da altre famiglie cristiane. Molti sono nei campi profughi. Gli aiuti, per quanto ho potuto constatare nella mia diocesi, sono distribuiti tramite l'esercito: le organizzazioni di assistenza, inclusa la Caritas, passano attraverso i militari, che li distribuiscono senza discriminazioni. In altre aree, laddove il governo non arriva, operano spesso Ong locali legate ai gruppi islamici. Questi chiedono elemosina per gli aiuti e, come ho udito raccontare, si occupano solo di profughi musulmani.

Cosa dire delle associazioni di carità legate ai gruppi islamisti radicali?

Questi gruppi non fanno carità. Se un aiuto non è disinteressato, non è carità, non è misericordia. Vi sono altre ragioni dietro: crearsi una buona immagine, acquistare consenso e popolarità presso la gente; ricevere aiuto dall'estero, reclutare volontari.

Le risulta che facciano anche proselitismo?

Non ne ho notizia. Ma se fanno proselitismo, se chiedono alla gente di altre religioni di convertirsi, la loro opera non andrà a buon fine. I cristiani pakistani, anche se in situazioni di estrema necessità, non accetteranno di convertirsi, di abbandonare la loro fede. La fede dei cristiani è forte: preferiranno rifiutare tali aiuti condizionati. E poi mi chiedo: che valore avrebbe la conversione di un uomo che lo fa solo perché sta morendo?

Come vivono oggi la loro fede i cristiani del Pakistan?

I cristiani vivono fra la gente, testimoniando la loro fede con convinzione, anche in mezzo alle persecuzioni. Anzi, posso dire che fra le difficoltà e le persecuzioni, la fede fiorisce: le nostre chiese sono piene. I cristiani si sentono autentici pakistani. Il Pakistan è la nostra terra, è la terra che Dio ci ha dato. Anche se i loro diritti sono negati, questi diritti restano tali, sono inalienabili e nessuno potrà toglierli.

C’è un raggio di speranza anche in questa tragedia delle inondazioni?

La speranza c’è perché Dio è il Signore della storia, anche negli eventi dolorosi che l'umanità non comprende. Ogni evento, anche tragico, serve alla nostra salvezza e redenzione. Questa tragedia dice a ogni uomo di tornare a Dio e di mettere in pratica la sua misericordia, come ripeto ai fedeli della diocesi.
(PA) (Agenzia Fides 16/9/2010)