Una verità irrisolta

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ispirazione quindi impegno

venerdì 29 gennaio 2021

Le foto dell'ultimo compleanno

 

Giulio Regeni: le foto dell'ultimo compleanno

Le immagini al Tg3, con Regeni due amici sospettati di averlo tradito. Il mistero del maglione


Una torta con le candeline per il suoi 28 anni. Sono le immagini — mostrate in esclusiva dal Tg3 — dell’ultimo compleanno di Giulio Regeni al Cairo, il 21 gennaio 2016. In una seconda immagine Giulio appare accanto a due persone, una è la padrona di casa e sua amica Noura Wahby, sospettata di averlo tradito, e Rami, agente di viaggio mai visto finora in volto, che parla spesso al cellulare con Magdi Sharif — ricostruisce sempre il Tg3 — presunto autore materiale dell’omicidio.

Le foto sono state consegnate dalla famiglia di Regeni ai pm romani, che le considerano importanti per ricostruire quanto accaduto. In particolare, il maglione che il giovane indossa sarebbe lo stesso della sera della scomparsa. Pullover che in Italia non è mai tornato, ancora nell’elenco dei vestiti del ricercatore che l’Egitto non ha mai riconsegnato.

domenica 24 gennaio 2021

Cinque anni senza Giulio Regeni

 


Cinque anni senza Giulio Regeni

110 associazioni del territorio si uniscono alla famiglia del ricercatore per chiedere il richiamo dell'ambasciatore in Egitto


Alla vigilia del quinto anniversario dal rapimento, delle torture e della morte - il 25 gennaio 2016 - di Giulio Regeni, una parte importante e rappresentativa della società civile del Friuli Venezia Giulia si mobilita a sostegno della richiesta della famiglia per il rapido richiamo dell’ambasciatore italiano dall’Egitto.

Ben 110 associazioni, gruppi, cooperative, comitati, reti, circoli culturali, aggregativi, sociali, sindacali o politici con sede in Fvg hanno sottoscritto l’appello (in allegato) al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri affinché, proprio alla luce delle ultime iniziative della Procura delle Repubblica di Roma per il rinvio a giudizio degli indagati, membri dei servizi e delle forze armate egiziane, siano assunte quelle misure diplomatiche adeguate alla gravità della situazione.

Ugualmente si chiede che tutta la Comunità europea assuma forti iniziative per il rispetto dei diritti umani in Egitto, e altrove, per tutte e tutti le Giulia e i Giulio. 110 realtà associative della nostra regione che si affiancano alla richiesta di mamma e papà Regeni e della loro avvocata Alessandra Ballerini, che condividono la proposta partita dalla Rete Dasi Fvg e dal Centro di Accoglienza Ernesto Balducci di Zugliano.

L’appello con le sottoscrizioni sarà spedito agli interlocutori. "Attendiamo, fiduciosi, una loro pronta accoglienza alle richieste", fanno sapere da Rete Dasi Fvg.

sabato 23 gennaio 2021

ASIA/INDIA - Il Gesuita Stan Swamy in carcere: "La solidarietà mi dà forza e coraggio immensi"

 

ASIA/INDIA - Il Gesuita Stan Swamy in carcere: "La solidarietà mi dà forza e coraggio immensi"
 
Mumbai (Agenzia Fides) - "Apprezzo profondamente la travolgente solidarietà espressa da molte persone in tutto il mondo, in questi 100 giorni dietro le sbarre. A volte la notizia di tanta solidarietà mi ha dato una forza e un coraggio immensi, soprattutto quando l'unica cosa certa in carcere è l'incertezza": sono le parole, pervenute all'Agenzia Fides, dell'83enne Gesuita indiano padre Stan Swamy, in carcere dall'8 ottobre scorso con l'accusa di sedizione. Dietro le sbarre a Mumbai, nonostante l'età e la grave forma di Parkinson di cui soffre, il Gesuita condivide la prigionia con altri 15 tra attivisti e membri di Ong, accusati, in base alla "Unlawful activities prevention act", di terrorismo e di complicità con i ribelli maoisti. Tutti erano a fianco e promuovevano i diritti degli adivasi del Jhakarland indiano, gli indigeni che subivano abusi e patenti violazioni dei loro diritti umani, sociali, culturali, perpetrate da grandi proprietari terrieri o da multinazionali.
In un messaggio di padre Swamy - raccolto dai confratelli Gesuiti indiani che lo hanno visitato in carcere e inviato all'Agenzia Fides - il religioso racconta: "Un altro punto di forza durante questi ultimi cento giorni è stato osservare la difficile situazione degli altri detenuti in attesa di processo. La maggior parte di loro proviene da comunità economicamente e socialmente più deboli. Molti di questi poveri non sanno quali accuse sono state loro rivolte, non hanno visto il loro foglio di accusa e rimangono in prigione per anni, senza alcuna assistenza legale o di altro tipo. Nel complesso, quasi tutti i detenuti e sono costretti a vivere con il minimo indispensabile, ricchi o poveri che siano. Questa condizione crea un senso di fratellanza e di solidarietà comunitaria: sentiamo che è possibile stare vicini e sostenersi l'un l'altro in queste avversità".
Padre Swamy conclude ricordando gli altri attivisti con lui imputati per gli stessi presunti reati: "Noi sedici coimputati non abbiamo potuto incontrarci, poiché siamo alloggiati in carceri diverse o in diverse sezioni all'interno della stessa prigione. Ma canteremo ancora in coro. Un uccello in gabbia può ancora cantare".
Un accorato messaggio di solidarietà in suo favore lo ha pronunciato oggi, in un video messaggio diffuso in tutto il mondo, padre Arturo Sosa, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, affermando: "Padre Stan ha dedicato l'intera esistenza ai più poveri fra i poveri: gli indigeni adivasi e i dalit. E' la voce di chi non ha voce. Ha affrontato i potenti e ha detto loro la verità, è impegnato nella difesa dei diritti umani delle minoranze". La Compagnia di Gesù ha lanciato un appello internazionale per il suo rilascio immediato, affermandone la piena innocenza e notandone le precarie condizioni di salute.
Finora i tentativi di segnalare al governo indiano la sua situazione e gli appelli per la sua liberazione - l'ultimo compiuto da tre Cardinali indiani che hanno incontro nei giorni scorsi il Primo Ministro Narendra Modi - non hanno sortito alcun effetto.
(PA) (Agenzia Fides 23/1/2021)

AFRICA/BURKINA FASO - Prete ucciso: si rafforza la pista jihadista. Nel Sahel le violenze dei terroristi hanno provocato 2 milioni di sfollati Ouagadougou (Agenzia Fides)

 

AFRICA/BURKINA FASO - Prete ucciso: si rafforza la pista jihadista. Nel Sahel le violenze dei terroristi hanno provocato 2 milioni di sfollati
 
Ouagadougou (Agenzia Fides) – Si rafforza l’ipotesi che don Rodrigue Sanon, il parroco di Soubaganyedougou (diocesi di Banfora) sia stato vittima di un gruppo jihadista (vedi Fides 21 e 22 gennaio 2021). Secondo gli inquirenti, il sacerdote, bloccato lungo la strada Soubaganyedougou - Banfora, nei pressi di Toumousséni, sarebbe stato ucciso dai suoi rapitori una volta scopertisi braccati dalle forze dell’ordine. Un modo di agire più simile a quello di un gruppo terroristico che non di una banda di delinquenti comuni. È stato scoperto un coltello vicino al corpo insanguinato del sacerdote.
La scomparsa del prete cattolico ha suscitato forte emozione tra i fedeli che si stanno mobilitando nella cattedrale di San Pietro per pregare per l'anima del defunto. Una messa verrà celebrata in assenza del corpo di don Sanon. Su indicazione del procuratore presso il Tribunal de Grande Instance di Banfora, la salma è stata infatti trasferita ieri sera a Ouagadougou per l'autopsia, dove è stata organizzata una veglia di preghiera.
La violenza jihadista nel Sahel ha provocato la fuga di milioni di persone. Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il numero di persone in fuga dalla violenza nella regione del Sahel in Africa occidentale è quadruplicato negli ultimi due anni, con 2 milioni sfollati all’interno del proprio Paese. Il Sahel ha anche più di 850.000 rifugiati in altri Paesi principalmente provenienti dal Mali.
I militanti legati ad al Qaeda e allo Stato Islamico hanno ampliato il loro raggio d'azione nella regione semiarida ai margini del Sahara, alimentando conflitti etnici in Burkina Faso, Mali e Niger e costringendo intere comunità a fuggire dalle proprie case. Più della metà degli sfollati all'interno del proprio Paese si trova in Burkina Faso, dove molti sono costretti a dormire all'aperto e non hanno abbastanza acqua.
"Le comunità che ospitano gli sfollati hanno raggiunto un punto di rottura", ha detto il portavoce dell’UNHCR Boris Cheshirkov. "La risposta umanitaria è pericolosamente sotto pressione e l'UNHCR sta sollecitando la comunità internazionale a raddoppiare il suo sostegno alla regione”. (L.M.) (Agenzia Fides 23/1/2021)
Ouagadougou (Agenzia Fides) – Si rafforza l’ipotesi che don Rodrigue Sanon, il parroco di Soubaganyedougou (diocesi di Banfora) sia stato vittima di un gruppo jihadista (vedi Fides 21 e 22 gennaio 2021). Secondo gli inquirenti, il sacerdote, bloccato lungo la strada Soubaganyedougou - Banfora, nei pressi di Toumousséni, sarebbe stato ucciso dai suoi rapitori una volta scopertisi braccati dalle forze dell’ordine. Un modo di agire più simile a quello di un gruppo terroristico che non di una banda di delinquenti comuni. È stato scoperto un coltello vicino al corpo insanguinato del sacerdote.
La scomparsa del prete cattolico ha suscitato forte emozione tra i fedeli che si stanno mobilitando nella cattedrale di San Pietro per pregare per l'anima del defunto. Una messa verrà celebrata in assenza del corpo di don Sanon. Su indicazione del procuratore presso il Tribunal de Grande Instance di Banfora, la salma è stata infatti trasferita ieri sera a Ouagadougou per l'autopsia, dove è stata organizzata una veglia di preghiera.
La violenza jihadista nel Sahel ha provocato la fuga di milioni di persone. Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il numero di persone in fuga dalla violenza nella regione del Sahel in Africa occidentale è quadruplicato negli ultimi due anni, con 2 milioni sfollati all’interno del proprio Paese. Il Sahel ha anche più di 850.000 rifugiati in altri Paesi principalmente provenienti dal Mali.
I militanti legati ad al Qaeda e allo Stato Islamico hanno ampliato il loro raggio d'azione nella regione semiarida ai margini del Sahara, alimentando conflitti etnici in Burkina Faso, Mali e Niger e costringendo intere comunità a fuggire dalle proprie case. Più della metà degli sfollati all'interno del proprio Paese si trova in Burkina Faso, dove molti sono costretti a dormire all'aperto e non hanno abbastanza acqua.
"Le comunità che ospitano gli sfollati hanno raggiunto un punto di rottura", ha detto il portavoce dell’UNHCR Boris Cheshirkov. "La risposta umanitaria è pericolosamente sotto pressione e l'UNHCR sta sollecitando la comunità internazionale a raddoppiare il suo sostegno alla regione”. (L.M.) (Agenzia Fides 23/1/2021)

martedì 19 gennaio 2021

Le ultime dall'Iraq: chiusura dei campi profughi( Agenzia Fides 19 gennaio 2021)

 


ASIA/IRAQ - La Ministra cristiana Evan Jabro risponde alle polemiche sul processo di chiusura dei campi profughi
 
Baghdad (Agenzia Fides) – In Iraq il programma di chiusura dei campi profughi e il ritorno degli sfollati interni alle rispettive aree di provenienza procede a ritmi intensi, ma ai risultati positivi già pubblicizzati dalle autorità politiche irachene fanno da contrappeso critiche e polemiche di diversa provenienza. A guidare il piano di chiusura dei campi di accoglienza profughi è la cristiana caldea Evan Faeq Yakoub Jabro, attuale Ministra irachena per l’immigrazione e i rifugiati (vedi Fides 8/6/2020). In una recente intervista a al Monitor, Evan Jabro ha riferito che "Su 76 campi di sfollati prima della formazione dell’attuale governo, solo 29 campi sono ancora aperti", confermando che le autorità governative irachene puntano a completare la chiusura di tali strutture entro la fine dell’anno. Negli ultimi mesi, secondo le fonti ufficiali del governo, almeno 66mila sfollati interni iracheni avrebbero fatto ritorno alle proprie case. Ai numeri e ai risultati positivi vantati dal governo, fanno da contraltare le polemiche concentrate soprattutto sui metodi utilizzati per chiudere i campi e spingere i loro “ospiti” a far ritorno alle terre da cui erano fuggiti. La ministra Evan Jabro, in interviste e dichiarazioni ufficiali, continua a ripetere che ogni ricollocamento dei rifugiati nelle proprie aree di provenienza avviene in maniera concordata con le autorità locali e sempre su base volontaria, potenziando anche l’assistenza e le misure di protezione sanitaria per chi rimane nei campi profughi. Nel contempo, gruppi di rifugiati e volontari coinvolti nella loro assistenza segnalano casi – come quello del campo di Habbaniyah, nella Provincia di Niniveh – dove la chiusura della struttura ha lasciato centinaia di famiglie senza dimora e senza la possibilità concreta di trovare sistemazioni alternative.
A novembre, il piano esposto dal governo di Baghdad prevedeva di completare la chiusura di tutti i campi profughi disseminati sul territorio nazionale entro marzo 2020.Ma la realizzazione del piano si è rivelata tutt’altro che agevole, e i tempio si sono allungati.
Molti dei campi accolgono sfollati interni fuggiti dalle regioni nord-irachene che nel 2014 erano cadute sotto il dominio jihadista dell’auto-proclamato Stato Islamico (Daesh). La volontà governativa di chiudere i campi risponde a esigenze economiche, sanitarie – legate alla pandemia da Covid-19 - e di ordine pubblico, e le difficoltà nella realizzazione del piano sono dovute in alcuni casi anche alle resistenze di molti profughi che non intendono fare ritorno alle rispettive aree di provenienza, dove la perdurante insicurezza e la mancanza di lavoro rendono difficile immaginare un futuro sereno per le proprie famiglie.
Evan Jabro, chiamata nel giugno 2020 a gestire le politiche del governo iracheno riguardo alla emergenza migratoria e del ricollocamento degli sfollati interni, insegna biologia e si è distinta in passato per l’attenzione alle emergenze sociali riguardanti le giovani generazioni, solitamente trascurate dai blocchi che dominano la politica irachena.
In passato, Evan Jabro ha lavorato con la ONG Al-Firdaws, fondata da Fatima Al-Bahadly nel 2003, e impegnata a elaborare progetti sociali e di lavoro indirizzati soprattutto a donne e giovani. La Ministra ha ricoperto anche il ruolo di consigliere del Governatore di Mosul per le questioni relative alle minoranze, e alle elezioni politiche irachene del maggio 2018 aveva concorso come candidata all’assegnazione di uno dei 5 seggi riservati alle minoranze cristiane, secondo il “sistema delle quote”. (GV) (Agenzia Fides 19/1/2021)

lunedì 18 gennaio 2021

Agenzia Fides 18 gennaio 2021: Barbaramente ucciso un sacerdote cattolico

 

AFRICA/NIGERIA - Barbaramente ucciso un sacerdote cattolico
 
Abuja (Agenzia Fides) – Rapito e ucciso P. John Gbakaan, parroco della chiesa di Sant'Antonio di Gulu, nella diocesi di Minna. nell'area del governo locale di Lapai, nello Stato del Niger, che è stato ucciso il 15 gennaio lungo la strada Lambata-Lapai.
Lo ha confermato ieri, domenica 17 gennaio, il parroco di Santa Teresa a Madala, p. John Jatau, secondo il quale p. Gbakaan, insieme a suo fratello e ad un altro prete, il 14 gennaio si era recato a Makurdi nello stato di Benue per andare a trovare sua madre.
Il 15 gennaio, sulla via del ritorno, il sacerdote e il fratello sono stati attaccati da uomini armati lungo la strada Lambata-Lapai. L’assalto è avvenuto intorno alle 9 di sera, nei pressi del villaggio di Tufa. I due uomini sono stati catturati da banditi armati, che poi sabato 16 gennaio hanno chiamato la diocesi di Minna, chiedendo la somma di trenta milioni di Naira, poi ridotta a cinque milioni di Naira.
Nel frattempo però il corpo esanime del sacerdote è stato ritrovato legato a un albero, nei pressi della strada dove è avvenuto il rapimento. P. Gbakaan sarebbe stato ucciso a colpi di machete, talmente violenti da rendere difficile il riconoscimento.
Nella boscaglia è stata ritrovata anche la Toyota Venza su cui viaggiava il sacerdote. Non si hanno ancora notizie del fratello, che sarebbe ancora nelle mani dei banditi.
L'Associazione Cristiana della Nigeria, CAN, ha chiesto al governo federale di porre fine al rapimento e all'uccisione di leader religiosi da parte di banditi nel Paese. Il vicepresidente della CAN (regione settentrionale), Rev. John Hayab, ha definito "scioccante e dolorosa" l'uccisione del sacerdote cattolico, affermando che l'insicurezza nel Nord ha assunto una dimensione allarmante. “Abbiamo ricevuto la notizia del rapimento e dell'uccisione del nostro caro P. John con grande shock e dolore” ha detto il Rev. Hayab. “Oggi nel nord della Nigeria molte persone vivono nella paura e molti giovani hanno paura di diventare sacerdoti o pastori perché la vita di questi è in grande pericolo. “Quando banditi o rapitori si rendono conto che la loro vittima è un prete o un pastore, sembra che uno spirito violento si impadronisca del loro cuore per chiedere un riscatto maggiore e in alcuni casi arrivano al punto di uccidere la vittima” dice il responsabile della CAN. “Stiamo semplicemente supplicando il governo federale e tutte le agenzie di sicurezza di fare tutto il necessario per porre fine a questo male”. (L.M.) (Agenzia Fides 18/1/2021)


Agenzia Fides 18 gennaio 2021: dopo 29 anni gli accordi di pace devono essere ancora realizzati e l’ingiustizia continua

 

AMERICA/EL SALVADOR - L'Arcivescovo di San Salvador: dopo 29 anni gli accordi di pace devono essere ancora realizzati e l’ingiustizia continua
 
San Salvador (Agenzia Fides) - Nel suo consueto incontro domenicale con i giornalisti, l'Arcivescovo di San Salvador, Mons. José Luis Escobar Alas, ieri si è soffermato come primo punto, sulla richiesta fatta al Congresso per una modifica della Costituzione, in modo che vi sia scritto il diritto umano di ogni cittadino ad una alimentazione adeguata. I cittadini di El Salvador infatti non godono di questo diritto benché il paese abbia firmato gli accordi proposti dalle Nazioni Unite già dal 1948. Come ha sottolineato l'Arcivescovo, "il paese manca di una politica di sicurezza alimentare e nutrizionale. Si spera - ha aggiunto -, che sia approvata nell'assemblea del prossimo 19 gennaio".
L'Arcivescovo quindi si è soffermato sugli "Acuerdos De Paz" (Accordi di Pace) di 29 anni fa, evidenziando che non dovrebbero continuare a essere celebrati, in quanto la popolazione è ancora in attesa della loro realizzazione. Inoltre il cambio di nome fatto dal presidente Bukele, poco interessa, ha commentato, sono molto più importanti i contenuti che il nome.
Il 16 gennaio 1992 il governo firmò un Accordo di pace con la guerriglia di sinistra al castello di Chapultepec, a Città del Messico, mettendo fine a una guerra civile durata 12 anni e nella quale sono morte 75mila persone.
Gli Accordi di Pace inizialmente sono stati una cosa buona, ma tutto è rimasto lì, ha detto il Presule: “Non si è svolto il processo di pace richiesto, tutte le famiglie delle vittime sono rimaste deluse e tutta la popolazione è impotente davanti ad una legge dell’amnistia che non ha permesso la giustizia". "E' vero che il primo accordo è stato quello di vivere in democrazia, ma l'ingiustizia continua" ha sottolineato Mons. Escobar Alas.
"Sono trascorsi 29 anni da questa firma, e non si vede la vera riforma che si era proposta. E’ una cosa molto triste – ha affermato -. Per esempio, la riforma tributaria. Non si è fatto nulla al riguardo. I poveri continuano a pagare gli stessi tributi dei ricchi. La riforma delle pensioni, un altro caso simile. La riforma educativa, ancora niente. Solo con la riforma costituzionale dell'acqua siamo riusciti nell’intento, ma con molta fatica e senza le proposte di una vera riforma. Ecco perché questi Accordi di Pace non si vedono sotto questo aspetto. C'è sempre violenza. Ecco perché insistiamo che gli Accordi di Pace sono stati una cosa buona, ma si devono ancora realizzare, per dare origine ad una nuova società".
Poi ha sottolineato che "celebrare gli Accordi che non sono stati realizzati, è un vero peccato, non ha senso. Noi vogliamo giustizia, e giustizia per il popolo. Sono ormai 5 anni che abbiamo proposto la Legge di Riconciliazione, ma ancora niente" ha concluso l’Arcivescovo.
(CE) (Agenzia Fides 18/01/2021)

lunedì 11 gennaio 2021

Buone notizie da Haiti

 

AMERICA/HAITI - Liberata la suora rapita l’8 gennaio; ogni giorno si verificano decine di atti di violenza
 
Port-au-Prince (Agenzia Fides) - Secondo le informazioni pervenute a Fides dal Segretario Generale della Conferenza dei Religiosi di Haiti, padre Gilbert Peltrop, suor Dachoune Sévère, religiosa della Congregazione delle Piccole Sorelle di Santa Teresa di Gesù Bambino, che era stata rapita da banditi armati venerdì 8 gennaio (vedi Fides 10/01/2021) è stata rilasciata dai suoi rapitori la sera di ieri, domenica 10 gennaio 2021. Attualmente si trova nella sua comunità, da dove era stata rapita. “Rendiamo grazie a Dio per la liberazione della suora, e allo stesso tempo ringraziamo tutti coloro che hanno pregato per la sua liberazione” scrive padre Gilbert Peltrop.
P. Renold Antoine, CSsR, missionario redentorista ad Haiti, ricorda che il rapimento della suora è solo un caso tra le decine che vengono registrati quotidianamente nell'area metropolitana di Port-au-Prince. Infatti la situazione si complica sempre di più su tutto il territorio nazionale. “Finora le autorità statali non hanno fatto nulla per fermare questa deriva che semina paura e lutto tra la popolazione haitiana. Poiché questa situazione rappresenta oggi una minaccia significativa per tutti i cittadini haitiani, imploriamo la misericordia di Dio su Haiti, in modo che cessi questo male che sta divorando la società”, conclude il missionario.
(CE) (Agenzia Fides 11/01/2021)

domenica 10 gennaio 2021

Agenzia Fides 10 gennaio 2021

 

AMERICA/HAITI - Rapita una religiosa, il Vescovo invita alla preghiera e invoca: “si fermino questi orribili atti disumani”
 
Carrefour (Agenzia Fides) – La sera di venerdì 8 gennaio è stata rapita da sconosciuti una religiosa delle Piccole suore di Santa Teresa di Gesù Bambino, nella residenza delle suore a Brochette 99, Comune di Carrefour, nell'arrondissement di Port-au-Prince. Fides ha ricevuto l’appello di Mons. Pierre André Dumas, Vescovo di Anse-à-Veau/Miragoâne, che esorta: "Preghiamo per lei, per la sua congregazione, per la sua famiglia, per la Chiesa e per il Paese. Possano questi orribili atti disumani fermarsi nella terra di Haiti, che è stata la prima al mondo a porre fine alla schiavitù e al traffico di esseri umani. Pregate che il Signore Dio tocchi l'umanità dei suoi rapitori e li conduca alla compassione e all'empatia!”
Il Vescovo esprime inoltre “la nostra comunione, la nostra solidarietà e la nostra vicinanza spirituale alla sua grande Famiglia religiosa e alla Conferenza dei religiosi haitiani! E soprattutto, preghiamo per la sua liberazione! I miracoli si ottengono piegando le ginocchia! Affidiamoci a Dio e restiamo uniti nella preghiera perché questo stato di disgrazia e disumanità finisca subito!”
Il 10 novembre sempre ad Haiti era stato rapito nella città di Delmas, Padre Sylvain Ronald, dei missionari di Scheut (CICM), poi rilasciato il 13 novembre nel cuore della capitale haitiana (vedi Fides 13 e 16/11/2020).
Haiti soffre una grave crisi socio-economica che porta in molti casi alla disperazione e all'insicurezza totale. La popolazione, da diversi mesi, viene flagellata dalle bande armate che hanno seminato il terrore in alcuni quartieri della capitale e adesso anche in altre città. I volontari cattolici e le congregazioni religiose non sanno più come distribuire i pochi aiuti disponibili ai più bisognosi senza essere attaccati, derubati o ricattati. La Confederazione dei Religiosi di Haiti ha fatto diversi appelli alle autorità per avere un minimo di sicurezza e di coerenza nella lotta contra la corruzione. Rimane viva la speranza nel paese grazie a molti religiosi e missionari che continuare ad aiutare il popolo sofferente nell'isola più povera d'America anche in mezzo a tante difficoltà.
(CE) (Agenzia Fides 10/01/2021)