Una verità irrisolta

Una verità irrisolta
ispirazione quindi impegno

lunedì 28 dicembre 2020

Seminarista cattolico ucciso nella provincia indonesiana di Papua (da Vatican news 18 dicembre 2020)

 


ASIA/INDONESIA - Seminarista cattolico ucciso nella provincia indonesiana di Papua
 
Jayapura (Agenzia Fides) - Il Natale 2020 è stato funestato da un grave episodio per i cattolici in Papua: la sera del 24 dicembre 2020, il corpo senza vita di Zhage Sil, seminarista cattolico, è stato trovato in un fossato a Jayapura, città della Papua indonesiana. Secondo la polizia locale, sono tuttora ignoti gli autori del delitto.
La notizia della morte di Sil ha sconvolto i cattolici della Papua e di tutta l'Indonesia, che auspicano sia fatta luce sul tragico episodio. Beka Ulung Hapsara, Commissario nazionale per i diritti umani in Indonesia ha chiesto che "la polizia indaghi rapidamente e trovi gli autori dell'omicidio. Urge applicare la legge in modo equo e trasparente".
Alla comunità di Sorong-Manokwari, diocesi cui Sil apparteneva, sono giunti numerosi messaggi di condoglianze di leader religiosi e laici che condannano fermamente l'atroce atto. “Sono scioccato dalla sua morte improvvisa e tragica. Sarebbe divenuto diacono l'anno prossimo e sacerdote diocesano subito dopo”, ha detto p. Johan, parroco nella diocesi di Jayapura, Papua. P. Johan, che conosceva personalmente Sil, ha aggiunto: “Era una persona coraggiosa che si interessava dei bisogni delle persone, e non aveva paura di alzare la voce, soprattutto quando si trattava di giustizia. Speriamo di ricevere presto notizie chiare sulla sua morte".
Sil era tra i giovani spesso impegnati a chiedere giustizia per la provincia di Papua, stigmatizzando "il razzismo contro il popolo papuano". La notizia dell'omicidio è diventata virale sui social media e ha attirato nuovamente l'attenzione sulla travagliata situazione della Papua indonesiana, dove nell'ottobre 2020 è stato ucciso anche il laico cattolico Rufinus Tigau, catechista del distretto di Intan Jaya, freddato senza ragione dalle forze di sicurezza nazionali (vedi Fides 11/11/2020).
All'inizio di dicembre, un forte appello al dialogo e alla riconciliazione per risolvere il conflitto nella regione indonesiana di Papua, è stato lanciato da 147 preti cattolici indonesiani, operanti in Papua (vedi Fides 12/12/2020) . L’appello stigmatizzava i ripetuti episodi di violenza e le continue violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze di sicurezza indonesiane, che hanno ucciso e ferito civili e anche operatori pastorali delle Chiese cattoliche e protestanti in questa zona del paese, a forte presenza cristiana.
In Papua, si registrano da anni incomprensioni e dissidi tra la popolazione locale e il governo centrale di Giacarta: ai fermenti separatisti il governo centrale ha risposto con una capillare presenza militare che ha aumentato la tensione.
La diocesi di Manokwari-Sorong si trova nella provincia di Papua occidentale. Copre un'area di 111mila chilometri quadrati, con una popolazione totale di 761mila abitanti, tra i quali circa 79mila cattolici.
(ES-PA) (Agenzia Fides 28/12/2020)

venerdì 11 dicembre 2020

Bergamo: Biblioteca civica Giulio Regeni

 


A Bergamo, dedicata una biblioteca a Giulio Regeni
La biblioteca del quartiere di Colognola diventa la «Biblioteca civica Giulio Regeni». Lo ha deciso la giunta del sindaco pd Giorgio Gori. Lo spunto è ...


giovedì 10 dicembre 2020

Giulio Regeni: un giudizio doveroso

 Verso la richiesta di giudizio in Italia per quattro appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani coinvolti nella scomparsa di Giulio Regeni, il ricercatore friulano sequestrato, torturato e ucciso nel 2016 a Il Cairo.

La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta sui presunti responsabili, dopo due anni di indagini, durante i quali a più riprese era stata chiesta la collaborazione da parte degli inquirenti egiziani, che mai hanno fornito, ad esempio, gli indirizzi degli indagati per notificare loro gli atti. Sono accusati a vario titolo di sequestro, lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017) nonché il delitto di concorso in omicidio aggravato. Chiesta l’archiviazione per un quinto agente.

I pm hanno ricostruito gli ultimi giorni di Giulio. Il ricercatore friulano è stato seviziato con acute sofferenze fisiche “in più occasioni ed a distanza di più giorni”. La procura contesta al maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, oltre al reato di sequestro di persona pluriaggravato, anche il concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato.“Per motivi abietti e futili e abusando dei suoi poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni” e “la perdita permanente di più organi, seviziandolo - si legge nel 415 bis - con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni” attraverso strumenti taglienti e roventi “con cui gli cagionava con numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l’uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche”.


martedì 3 novembre 2020

La polizia salva Arzoo


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ASIA/PAKISTAN - La polizia salva Arzoo, la minorenne cattolica rapita e costretta a convertirsi e sposarsi
 
Karachi (Agenzia Fides) - “Siamo grati a Dio perché la polizia del Sindh, su ordine dell'Alta Corte della provincia del Sindh, ha salvato Arzoo Raja, una ragazza cattolica di 13 anni rapita il 13 ottobre 2020. È un grande risultato dopo due settimane di impegno continuo dei leader della Chiesa, con il sostegno dei leader dei partiti politici, degli attivisti e delle organizzazioni per i diritti umani e della società civile. Esprimo apprezzamento ai funzionari di polizia e ringrazio anche tutti i nostri fratelli musulmani che ci aiutano a chiedere giustizia per Arzoo”: lo ha detto il Vicario generale dell'arcidiocesi di Karachi, Mons. Diego Saleh, parlando all'Agenzia Fides dopo aver incontrato la minorenne cattolica salvata ieri, 2 novembre, in tarda serata.
Mons. Saleh prosegue: “Apprezzo enormemente le forze di sicurezza per aver salvato la minorenne lo stesso giorno in cui sono stati impartiti gli ordini dall'Alta Corte, e per aver tenuto la minorenne in custodia presso la stazione di polizia per le donne e i bambini, da qui verrà inviata alla casa rifugio per la sua protezione”. Il Vicario generale aggiunge: “Tutta la comunità cristiana pakistana è grata al governo del Sindh, ai giudici dell'Alta Corte e ai funzionari della sicurezza per la loro rapida risposta agli ordini del tribunale impartiti ieri mattina per salvare Arzoo”. Quindi esorta “tutta la comunità cristiana a continuare a pregare fino a quando non otterremo giustizia per Arzoo, e spero che presto la otterremo".
La polizia ha anche arrestato il rapitore Ali Azhar, che aveva rapito la ragazza il 13 ottobre mattina, l'aveva convertita con la forza e l’aveva sposata lo stesso giorno (vedi Fides 21, 22, 24, 29, 30/10/2020).
Anthony Naveed, un cristiano membro dell'Assemblea provinciale del Sindh e a capo della Commissione congiunta della Chiesa cattolica e protestante creatasi per il caso di Arzoo Raja, parlando a Fides afferma: “Siamo grati a Bilawal Zardari, Presidente del Pakistan Peoples Party e al Governo del Sindh per averci sostenuto, perché la legge esistente nella provincia del Sindh non ammette matrimoni sotto i 18 anni”. Aggiunge: "Nella precedente petizione presentata in tribunale il 27 ottobre 2020, la firmataria Arzoo Fatima (nome musulmano di Arzoo Raja) ha chiesto la protezione del suo matrimonio e al giudice non sono stati comunicati dettagli fondamentali, che lei avesse meno di 18 anni, per cui è stata presa la decisione a suo favore per la sua protezione”. Anthony Naveed inoltre spiega: "Nella petizione seguente, che abbiamo presentato da parte della famiglia, ci sono tutti i documenti autentici che dimostrano che Arzoo è minorenne ed è stata costretta a sposare il suo rapitore, per questo il tribunale ha ordinato di liberare immediatamente Arzoo dal suo rapitore Ali Azhar".
P. James Channan, OP, Direttore del Peace Center di Lahore, parlando a Fides, ha commentato: “Il salvataggio di Arzoo è occasione per ringraziare Dio per la lotta dei leader religiosi cristiani, degli attivisti per i diritti umani, dei promotori della giustizia e dell’armonia interreligiosa che ha prodotto questo risultato positivo. Le preghiere di innumerevoli cristiani e di tanti uomini e donne musulmani sono state esaudite”.
P. James Channan osserva ancora: “È una vittoria della legge e della giustizia che possiamo sperimentare in Pakistan se e quando presa sul serio e in modo giusto. Il rapimento, la conversione forzata e il matrimonio forzato con Azhar Ali, una persona malvagia di 44 anni, è stato un duro colpo e una sfida per il nostro sistema giudiziario e politico”. P. Channan conclude: “Il rilascio in tempi così brevi di Arzoo è un segno della lotta comune, delle preghiere, delle manifestazioni pacifiche e della protesta della comunità cristiana”. (AG) (Agenzia Fides 3/11/2020)


giovedì 29 ottobre 2020

Regeni, la Procura verso la chiusura indagini(larepubblica.it)

 ROMA - Giulio Regeni, si va verso la chiusura indagini. La Procura di Roma è pronta a farlo in relazione al rapimento, alle torture e all'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel febbraio 2016 al Cairo. Si avvicina, infatti, la scadenza dei due anni dall'iscrizione nel registro degli indagati (avvenuta il 4 dicembre del 2018) da parte del pm Sergio Colaiocco dei cinque agenti della National Security egiziana.

Un termine che il team investigativo di Ros e Sco ha fatto presente oggi al Cairo nel vertice con gli omologhi egiziani.

La Procura di Roma non ha ancora ricevuto riscontri concreti alla rogatoria inviata alle autorità del Cairo nell'aprile del 2019 e nulla di rilievo è emerso dopo la videoconferenza del primo luglio scorso tra il procuratore capo Michele Prestipino, lo stesso Colaiocco e la delegazione dei magistrati egiziani. In quella occasione i pm capitolini avevano chiesto risposte in tempi rapidi "sull'elezione di domicilio da parte degli indagati, sulla presenza e sulle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell'agosto del 2017, e su altre attività finalizzate a mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque sotto inchiesta".


ASIA/PAKISTAN - Un tribunale approva il rapimento della minorenne cattolica: vibranti proteste della Chiesa e della società civile

 

 
Karachi (Agenzia Fides) - “Chiediamo alle autorità del governo del Sindh, ai funzionari di polizia e alla magistratura, giustizia e un giusto processo. Auspichiamo severe misure da adottare per fermare la crescente ondata di rapimenti e conversioni forzate e matrimoni forzati delle ragazze che appartengono alle minoranze religiose del Pakistan. Al momento i cittadini delle minoranze non si considerano sicuri e con eguali diritti”: lo dice in un messaggio inviato all'Agenzia Fides, il Cardinale Joseph Coutts, Arcivescovo di Karachi, intervenendo sul caso della ragazza cattolica Arzoo Raja, sequestrata, convertita all'islam e costretta alle nozze da un uomo musulmano, a Karachi (vedi Fides 21/10, 22/10 e 24/10/2020)
Padre Saleh Diego, Vicario generale dell'Arcidiocesi di Karachi e anche a capo della Commissione diocesana per la giustizia e la pace, ha guidato la protesta di oltre 300 persone tra cristiani, indù e musulmani all'ingresso della cattedrale di San Patrizio, ieri 28 ottobre. P. Diego ha detto: “Chiediamo giustizia per la minorenne Arzoo Raja, che ha solo 13 anni. L'ordinanza del tribunale che di fatto legittima il rapimento ha rattristato la comunità cristiana del Pakistan; secondo l'ordinanza la ragazza dovrà convivere con il suo rapitore e la polizia garantirà loro protezione”. P. Diego informa: “La ragazza rapita è già con il rapitore da due settimane e il tribunale ha deliberato in favore del rapitore, è terribile. Per renderle giustizia faremo ogni sforzo possibile”.
Arzoo Raja è stato rapita il 13 ottobre 2020 da un uomo musulmano di nome Ali Azhar, che viveva in una casa vicina della ragazza cristiana, e lo stesso giorno ha rapito la ragazza, la ragazza si è convertita all'Islam e lo ha sposato.
L'ordinanza del tribunale, emessa il 27 ottobre, afferma che Arzoo Fatima (il nome musulmano) è firmataria e consenziente presso la Corte. Nell'ordinanza emessa si menziona che Arzoo Fatima era inizialmente di religione cattolica tuttavia, con il passare del tempo, avrebbe compreso che l'Islam è una religione universale e ha chiesto ai suoi genitori e ad altri membri della famiglia di abbracciare l'Islam, ma essi hanno rifiutato categoricamente. Arzoo successivamente ha accettato l'Islam per sua libera volontà, Arzoo ha contratto un matrimonio con un uomo musulmano, Ali Azhar, suo rapitore.
Nella stesso ordinanza, la polizia è invitata a non effettuare alcun arresto in relazione alla denuncia (First Information Report) registrata ai sensi dell'articolo 364-A del codice penale pakistano (ovvero rapimento di una persona di età inferiore ai 14 anni). Anzi, la polizia è tenuta a fornire protezione alla ragazza appena sposata.
Shema Kirmani, musulmana e attivista per i diritti umani ha detto a Fides: "Condanniamo fermamente tali atti che vengono compiuti in nome della religione. Nessuna religione permette di costringere qualcuno a convertirsi e di sposarsi con il rapitore. Si tratta di rapimento e stupro". E aggiunge: "Secondo il Child Marriage Act della provincia del Sindh, non si può permettere a nessuno di contrarre matrimonio in età inferiore ai 18 anni, le autorità devono arrestare e punire i colpevoli".
La cristiana Ghazala Shafiq, attivista per i diritti umani e delle donne, parlando a Fides rimarca: “Questa ordinanza del tribunale accetta la conversione forzata di Arzoo Raja, una ragazza di 13 anni. Il giudice non ha nemmeno chiesto il suo certificato di nascita per dimostrare l'età e non le hanno permesso di incontrare i suoi genitori. Si tratta di un ordine ingiusto, in cui non viene data priorità ai documenti presentati dai genitori che dimostrano la corretta età della ragazza"
(AG-PA) (Agenzia Fides 29/10/2020)

mercoledì 14 ottobre 2020

Premio Regeni all’Università di Teramo: la famiglia di Giulio ringrazia l’ateneo(abruzzo.cityrumors.it/notizie-teramo)

Premio Regeni all’Università di Teramo: la famiglia di Giulio ringrazia l’ateneo Teramo. L’Università di Teramo mantiene vivo il Premio intitolato a Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge torturato e ucciso al Cairo il 25 gennaio 2016. Riservato ai dottorati dell’Ateneo per la migliore ricerca scientifica quest’anno il Premio è andato a Mohamed El Khatib del corso di dottorato in Biotecnologie e a Noemi Battistelli del corso di dottorato in Scienze degli alimenti. Il Premio è stato consegnato dal ministro dell’Università e della ricerca Gaetano Manfredi, in occasione della giornata conclusiva del 3° Forum del Gran Sasso. «Siamo i genitori di Giulio Regeni – si legge nella lettera inviata al rettore Dino Mastrocola – e siamo lieti di apprendere l’impegno costante del Vostro Ateneo nel mantenere vivo il Premio alla memoria di nostro figlio, riconoscendo così il suo ruolo di ricercatore e l’importanza del rispetto dei diritti umani. Sono 56 mesi da quando è stato trovato il corpo di nostro figlio. Sono 56 mesi che attendiamo insieme a una moltitudine di persone in tutto il mondo di ottenere giustizia. La Vostra vicinanza è chiaramente un impegno a sostenerci in questa battaglia che reclama incessantemente verità e giustizia per Giulio, richiesta che facciamo sia come genitori che come cittadini. Cittadini che hanno a cuore la sicurezza e la valorizzazione dei giovani, studenti e ricercatori, i quali vanno sempre sostenuti e protetti con azioni concrete. Auguriamo a tutti i giovani ricercatori dell’Ateneo teramano, la possibilità di essere sempre liberi nel poter ricercare ed esprimere le proprie idee, con passione ed entusiasmo, è un diritto, fondante per una società democratica. Porgiamo i nostri migliori saluti, Paola e Claudio Regeni».

lunedì 12 ottobre 2020

Padre Macalli libero

AFRICA/NIGER - P. Gigi Maccalli: finalmente a casa ma sempre con il cuore rivolto alla sua missione di Bomoanga Niamey (Agenzia Fides) – Padre Gigi Maccalli, liberato dopo una prigionia di due anni in mano ai jhaadisti è tornato a casa, nella sua Madignano per un tempo di riposo e quarantena con la sua famiglia. Tra le prime telefonate fatte dal missionario della Società per le missioni Africane c’è quella al suo confratello p. Vito Girotto con il quale ha condiviso la missione in Niger fino a quel 17 settembre del 2018 in cui è stato rapito. “Sabato ho parlato dieci minuti circa con p. Gigi. Mi ha chiamato lui e mi ha chiesto subito come è la situazione nella sua missione a Bomoanga. Gli ho risposto che avevo visto un piccolo video su WhatsAapp, in cui si vede la gente del villaggio che manifesta la gioia della liberazione, pregando cantando, e danzando nella chiesa da lui. Gli ho detto che dal rapimento fino alla sua liberazione tanti hanno pregato perché ritornasse presto in libertà” ha raccontato p. Girotto all’Agenzia Fides. “Ho dovuto dargli anche le notizie meno belle come la chiusura della scuola primaria cattolica a N'Goula, la sospensione dell'alfabetizzazione in tutta la zona gurmancé, la mia partenza forzata da Makalondi la stessa notte del suo rapimento. Ho fatto presente a p. Gigi le difficoltà dei sacerdoti diocesani per raggiungere le missioni da noi lasciate per mancanza di sicurezza.” Alla domanda di p. Girotto su come avesse vissuto questo tempo di cattività p. Gigi ha risposto: “pregando”. I suoi rapitori, ha detto, lo hanno trattato bene. Dal maggio scorso gli hanno permesso di ascoltare la radio e, sintonizzandosi sulla Radio Vaticana, la prima notizia che ha avuto è stata il riconoscimento delle virtù di Mons. de Brésillac, fondatore della SMA, e il fatto che era stato dichiarato venerabile. “Nel parlagli – continua p. Vito - io ero molto più emozionato di lui. Mi diceva che avrebbe fatto la sua quarantena a Madignano. Gli ho trasmesso i saluti di tanti amici che dal Niger, Burkina, Burundi e dal Ghana mi avevano incaricato di farlo a loro nome. In fondo ho parlato molto più io che lui, perché sentivo che voleva rendersi conto di quello che era avvenuto a Bomoanga e in diocesi di Niamey dopo il suo rapimento.” Il missionario ha concluso dicendo che si è sentito profondamente contento e confortato da questa chiamata telefonica che aspettava, dopo quella della domenica 16 settembre 2018 in cui si erano sentiti: p. Maccalli a Makalondi e p. Girotto a Torodi, accompagnando ragazzi e giovani per la scuola che iniziava giusto il giorno del suo rapimento, il lunedì 17 settembre 2018. (VG/AP) (12/10/2020 Agenzia Fides)

sabato 10 ottobre 2020

Arrestato Padre Swamy, la solidarietà della Chiesa 

 

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L'anziano sacerdote è accusato di avere legami con i gruppi Maoisti. La Compagnia dei Gesuiti di Jamshedpur a cui appartiene, condanna l'arresto da parte delle ... 

mercoledì 7 ottobre 2020

Assolto un cristiano accusato falsamente di blasfemia

 



ASIA/PAKISTAN - Assolto un cristiano accusato falsamente di blasfemia. Ora si chiede giustizia per la violenza commessa alla Joseph Colony

 
Lahore (Agenzia Fides) - Sawan Masih, l'uomo cristiano che era stato falsamente accusato di blasfemia nel 2013, è stato assolto ieri, 6 ottobre 2020, dalla Corte di appello di Lahore. Come appreso dall'Agenzia Fides, dopo 7 anni di carcere e una sentenza di condanna in primo grado, la Corte ha riconosciuto che Sawan era stato falsamente implicato in questo caso con intenzioni illecite dalla mafia legata al "land grabbing", prosciogliendolo da ogni accusa e disponendone l'immediato rilascio.
L'avvocato della difesa ha sottolineato il fatto che esisteva un ritardo di trentaquattro ore tra il presunto reato di blasfemia e la denuncia presentata alla polizia: questo elemento va a confermare la tesi di un'accusa orchestrata a tavolino per incastrare l'uomo, abusando della legge sulla blasfemia. Inoltre, i testimoni chiamati in causa per convalidare le accuse di blasfemia, hanno reso dichiarazioni contraddittorie e non coerenti. Basandosi su questi elementi, il giudice ha ribaltato la sentenza di primo grado.
Sawan Masih è stato accusato di blasfemia nel marzo 2013. In seguito al suo caso, oltre 178 case del quartiere cristiano Joseph Colony a Lahore furono bruciate da una folla di musulmani. Nel 2014 è giunta la condanna a morte per blasfemia (vedi Fides 4/4/2014), mentre nessun musulmano è stato ancora punito per la devastazione compiuta nel quartiere cristiano. L'uomo dall’aprile del 2014 era nel braccio della morte nel carcere di Faisalabad ma "restava fiducioso sulla sua liberazione e sulla sua salvezza" dice, in una nota inviata all’Agenzia Fides, il cristiano Joseph Francis, leader dell’Ong CLAAS (Centre for Legal Aid Assistance & Settlement) che segue e assiste casi di cristiani discriminati o bisognosi di assistenza legale in Pakistan. Afferma a Fides l'Ong CLAAS: "Siamo estremamente orgogliosi e felici perchè oggi, dopo otto anni di incessante impegno, è stata resa giustizia a un uomo innocente. Continuiamo a lavorare per tutti i cristiani accusati ingiustamente, vittime di una legge draconiana che andrebbe modificata per evitare gli abusi". Masih ha detto di aver pregato ogni giorno in carcere "per i giudici, perché Dio infondesse in loro coraggio, e potessero applicare la vera giustizia nelle loro decisioni".
Ricorda all'Agenzia Fides il Domenicano p. James Channan, Direttore del "Peace Center" a Lahore: “I cristiani, così come gli induisti e altri membri di fedi minoritarie, in Pakistan sono oggetto di discriminazione e ingiustizie che si consumano spesso sfruttando in modo scorretto le leggi sulla blasfemia, causando poi attacchi gratuiti e immotivati sulle comunità cristiane innocenti. Grazie ai buoni rapporti con leader musulmani, come Abdul Khabir Azad, l’imam della Moschea reale di Lahore, abbiamo lavorato insieme per risolvere situazioni di tensione, come l’attacco al quartiere cristiano 'Joseph Colony' nel cuore di Lahore, a marzo 2013. Siamo grati alla Corte per aver prosciolto reso la libertà a Masih, riconoscendone l'innocenza. Ora occorre rendere giustizia alle famiglie che persero le loro case e proprietà, nelle aggressione generata da una falsa accusa di blasfemia verso Sawan Masih".
Vi sono attualmente almeno 80 persone in prigione in Pakistan per il reato di "blasfemia", e almeno la metà di loro rischia l'ergastolo o la pena di morte. Le persone accusate in base alle legge sono principalmente musulmani, in un paese in cui il 98% della popolazione segue l'Islam ma, come notano la gli attivisti cristiani della Commissione "Giustizia e pace" dei Vescovi cattolici pakistani, "la legge prende di mira in modo sproporzionato membri di minoranze religiose come cristiani e indù".
non va sottovalutato il caso di esecuzioni extragiudiziali, dato che leader radicali esortano i militanti a "farsi giustizia da soli", uccidendo persone ritenute colpevoli di blasfemia, anche se non sono condannate in tribunale o sono accusate falsamente. Secondo la Ong "Centro per la giustizia sociale", fondata e guidata dal cattolico pakistano Peter Jacob, a partire dal dal 1990, almeno 77 persone sono state uccise in esecuzioni extragiudiziali, in relazione ad accuse di blasfemia: tra gli uccisi vi sono persone accusate di blasfemia, i loro familiari, avvocati e giudici che hanno assolto gli accusati del reato.
(PA) (Agenzia Fides 7/10/2020)

lunedì 14 settembre 2020

RavennaeDintorni.it A Cervia un aquilone per Zaky: «Per far volare Patrick fuori dalla prigione»

 

A Cervia un aquilone per Zaky: «Per far volare Patrick fuori dalla prigione»

Con il disegno di Gianluca Costantini. La lettera dello studente alla famiglia

Amnesty Ravenna Aquilone ZakyFar volare Patrick Zaky fuori dalla prigione. Questo il senso dell’iniziativa di Cervia a sostegno del giovane attivista per i diritti umani detenuto da sette mesi nelle carceri egiziane. Un aquilone con il disegno (realizzato dall’illustratore ravennate Gianluca Costantini) dello studente dell’Alma Mater di Bologna avvolto da un filo spinato si è librato sulla spiaggia di Tagliata.

L’evento è stato organizzato da Amnesty International Italia, Articolo 21 e Festival dei diritti umani a cui hanno aderito anche altre associazioni.

Aquilone AmnestyNel corso della conferenza stampa Giulia Groppi di Amnesty International Italia ha elencato le trattative commerciali e militari in corso tra Italia ed Egitto e ha detto: «Con che coraggio l’Italia porta avanti tranquillamente tutte queste trattative quando l’Egitto da quattro anni si rifiuta di collaborare per la ricerca della verità su Giulio Regeni e tiene in carcere Zaky? Questi i quesiti che abbiamo posto al governo. Crediamo debba esserci un cambio di rotta».

«L’appello al governo è di non trattare con i fascisti» – ha aggiunto Donato Ungaro di Articolo 21, per il quale «con chi rientra nella categoria dei dittatori non si può trattare».

L’unica colpa di Zaky, ha detto il direttore del Festival dei diritti umani, Danilo De Biasio, «è di aver scritto che in Egitto non esistono i diritti umani. E la prova è il fatto che per averlo scritto è finito in galera».

L’aquilone girerà per altre città, tra le prossime ci sono Marzabotto, Conselice e Perugia.

Nel corso della stessa giornata di ieri, 12 settembre, gli attivisti della campagna “FreePatrick” hanno informato che «Patrick ha scritto alla famiglia e ai suoi amici in Egitto per sapere come stanno e per rassicurarli sul suo stato di salute, e mandare il suo amore agli amici di Bologna e di Granada».

Nella missiva Patrick «si augura che la fortuna lo assista nella sua prossima udienza, in modo da poter riguadagnare la libertà».

Nella nuova lettera Patrick ha chiesto anche ai familiari «la data della prossima udienza». La famiglia, si legge sempre nel messaggio sul social network, «ha potuto lasciargli del cibo e dei prodotti per l’igiene nel luogo in cui è detenuto ed è stata rassicurata sul suo stato di salute attraverso una lettera ricevuta dalla prigione di Tora».

mercoledì 9 settembre 2020

Agenzia Fides 9 settembre 2020 AMERICA/CUBA - Per la prima volta i media hanno trasmesso la festa religiosa della Vergine della Carità

 

AMERICA/CUBA - Per la prima volta i media hanno trasmesso la festa religiosa della Vergine della Carità
 
L'Avana (Agenzia Fides) - La televisione cubana ha trasmesso la solenne Eucaristia in onore della Vergine della Carità, patrona di Cuba, celebrata la mattina di ieri, 8 settembre, nel suo santuario di El Cobre, una cittadina vicino alla città di Santiago de Cuba. A Cuba finora non erano mai stati trasmessi eventi religiosi dai media del governo, quindi tale gesto viene considerato come l'inizio di una nuova epoca.
La messa, presieduta da Mons. Dionisio García, Arcivescovo di Santiago de Cuba, è stata trasmessa in differita, alla sera, da uno dei canali nazionali della televisione cubana, in spirito di collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, affinché il rito religioso potesse raggiungere il maggior numero di fedeli durante l’attuale pandemia di Covid-19.
Lo stesso Presule aveva spiegato la scorsa settimana che i festeggiamenti previsti per il giorno della festa della Vergine si sarebbero adeguati alle misure preventive a causa dell'epidemia. Solo un gruppo ristretto di fedeli ha assistito alla messa nella Basilica del Cobre.
Anche le radio provinciali trasmettono da domenica scorsa le preghiere dei Vescovi di ciascuna diocesi, come atto di venerazione della Vergine della Carità, che ogni anno per la sua festa vede radunarsi migliaia di cubani devoti alla loro Santa Patrona.
Conosciuta tra i cubani come la 'Vergine Mambisa', poiché venerata dai combattenti per l'indipendenza cubana, che secondo la storia portarono la sua immagine sui campi di battaglia, fu proclamata Patrona di Cuba da Papa Benedetto XV nel 1916.

Cristiano condannato a morte per "blasfemia" ieri: il pakistano Asif Pervaiz

 

ASIA/PAKISTAN - Cristiano condannato a morte per "blasfemia"; i Vescovi chiedono una campagna del governo per i diritti delle minoranze
 
Lahore (Agenzia Fides) - Un tribunale di Lahore, capitale della provincia del Punjab pakistano, ha condannato a morte un cristiano per aver commesso "blasfemia": si tratta di Asif Pervaiz, 37 anni, è in carcere dal 2013 con l'accusa di aver inviato messaggi di testo SMS "blasfemi" al datore di lavoro Muhammad Saeed Khokher. Come riferito dall'avvocato Saif-ul-Malook, il legale musulmano che ha difeso anche la cristiana Asia Bibi, il tribunale non ha dato credito alla sua testimonianza, in cui l'uomo negava ogni addebito, e lo ha condannato a morte ieri, 8 settembre. Secondo la versione di Pervaiz, riferita dall'avvocato Malook, "Khokher voleva convincerlo a convertirsi all'Islam e, quando egli non ha acconsentito, lo ha accusato falsamente di blasfemia". Secondo Malook, "si tratta di un altro caso in cui la legge viene utilizzata ingiustamente contro le minoranze religiose". In Pakistan la "Legge di blasfemia" (gli articoli 295 "b" e "c" del Codice penale") prevede l'ergastolo o la pena di morte per il reato di vilipendio al Profeta Maometto, all'Islam o al Corano.
P. Qaisar Feroz OFM Cap, Segretario esecutivo della Commissione per le comunicazioni sociali dei Vescovi cattolici del Pakistan, rileva in un colloquio con l'Agenzia Fides: "La comunità cristiana del Pakistan è profondamente addolorata per la condanna a morte di Asif Pervaiz. Chiediamo vivamente al governo del Pakistan di far sì che si possa riconsiderare la decisione della Corte in modo che sia fatta giustizia. I casi di blasfemia aumentano di giorno in giorno in Pakistan, il che non è affatto un buon segno, per una società dove regna la tolleranza. Raccomandiamo vivamente al Primo Ministro Imran Khan di lanciare una campagna di sensibilizzazione in video per promuovere i diritti delle minoranze e la dignità umana".
Raggiunto dall'Agenzia Fides, padre Mario Rodrigues, prete e parroco a Karachi, commenta: "Pur non conoscendo direttamente il caso, non crediamo alle accuse. Ci sono troppi precedenti e casi di false accuse, in cui si strumentalizza la legge. Nessun cristiano in Pakistan si sognerebbe mai di insultare l'Islam o il Profeta Maometto. Siamo un popolo di persone rispettose verso tutte le religioni, tantopiù nella condizione in cui viviamo, sapendo che quello della blasfemia è un tasto molto delicato. Siamo tristi perchè le strumentalizzazioni e gli abusi della legge continuano. E' tempo di fare giustizia e reale uguaglianza per tutti i cittadini pakistani: anche i musulmani sono spesso vittime di false accuse".
Vi sono attualmente almeno 80 persone in prigione in Pakistan per il reato di "blasfemia", e almeno la metà di lro rischia l'ergastolo o la pena di morte. le persone accusate in base alle legge sono principalmente musulmani, in un paese in cui il 98% della popolazione segue l'Islam ma, come notano la gli attivisti cristiani della Commissione "Giustizia e pace" dei Vescovi cattolici pakistani, "la legge prende di mira in modo sproporzionato membri di minoranze religiose come cristiani e indù".
Vi sono inoltre casi di esecuzioni extragiudiziali, dato che leader radicali esortano i militanti a "farsi giustizia da soli", uccidendo persone ritenute colpevoli di blasfemia, anche se non sono condannate in tribunale o sono accusate falsamente. Secondo la Ong "Centro per la giustizia sociale", fondata e guidata dal cattolico pakistano Peter Jacob, a partire dal dal 1990, almeno 77 persone sono state uccise in esecuzioni extragiudiziali, in relazione ad accuse di blasfemia: tra gli uccisi vi sono persone accusate di blasfemia, i loro familiari, avvocati e giudici che hanno assolto gli accusati del reato. L'ultimo clamoroso omicidio del genere è avvenuto alla fine luglio, quando un uomo pakistano, ma con cittadinanza americana, Tahir Ahmad Naseem, 57 anni, accusato di blasfemia e sotto processo a Peshawar, è stato colpito a morte con sei colpi di arma da fuoco dal 19enne musulmano Faisal, mentre si trovava dentro al palazzo del tribunale di Peshawar.
A partire dal 2017, dopo una serie di sit-in di protesta su larga scala, i partiti politici di matrice islamica hanno incluso con sempre maggiore frequenza la questione della "difesa della legge di blasfemia" nelle loro piattaforme e agende politiche. Il partito politico Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), formato dal leader Khadim Hussain Rizvi conduce una dura aperta campagna per la difesa delle legge sulla blasfemia. Attivisti, Ong, gruppi religiosi non islamici ne chiedono la revisione per evitare gli abusi della legge e l'uso improprio come "arma" per vendette private.
(PA) (Agenzia Fides 9/9/2020)

mercoledì 29 luglio 2020

lunedì 29 giugno 2020

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