Una verità irrisolta

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giovedì 9 novembre 2023

Padre Neuhaus: le politiche e le chimere che seminano morte nella terra di Gesù Vatican news 9 novembre 2023

 

ASIA/TERRA SANTA - Padre Neuhaus: le politiche e le chimere che seminano morte nella terra di Gesù
 
di Gianni Valente


Gerusalemme (Agenzia Fides) – Le atrocità sono tornate a spargere morte e dolore nella terra di Gesù hanno radici profonde. E il disastro è alimentato anche dalla miscela tossica di una “politica basata sul nazionalismo estremista spiegato come ardore religioso, sia in Israele che in Palestina”. Lo sottolinea nell’intervista rilasciata all’Agenzia Fides padre David Neuhaus, gesuita israeliano e professore di Sacra Scrittura.
Nato in Sudafrica da genitori ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania negli anni Trenta del secolo scorso, padre David è stato in passato anche Vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica e per i migranti.


Padre David, La strada imboccata dalla nuova tragedia di Terra Santa sta spargendo morte e dolore. In tutto questo, la soluzione militare scelta, l’idea di “estirpare” militarmente Hamas, ha davvero una logica? O ci sono altri fattori che guidano le scelte?

DAVID NEUHAUS: Papa Francesco ha detto fin dall’Angelus dell’8 ottobre, all'inizio di questo ciclo di violenza: "La guerra è una sconfitta! Ogni guerra è una sconfitta! Preghiamo perché ci sia pace in Israele e in Palestina". È forse un errore pensare che l’opzione militare sia dettata da logica. Sembra una reazione emotiva allo shock del 7 ottobre: 1400 uomini, donne e bambini uccisi e 250 rapiti. La perdita di così tante vite alimenta il desiderio di vendetta. L'attacco ha fatto esplodere alcuni miti fondamentali. In primo luogo, la presunzione che l'esercito israeliano sia invincibile: come hanno fatto centinaia di miliziani a sfondare il confine? In secondo luogo, la supposizione che gli ebrei abbiano trovato una patria sicura; come mai un simile massacro è potuto accadere qui? L'intenso dolore per la perdita dei propri cari, l'ansia e la frustrazione per i rapiti si mescolano alla rabbia per il fatto che l'attacco sia potuto davvero avvenire.

L'opzione militare ha alimentato la mentalità che accompagna la guerra. In primo luogo, si combatte fino alla vittoria! Cosa significa vittoria in questo caso? Sradicare Hamas? Ma questo si è tradotto operativamente nella distruzione di Gaza, uccidere migliaia di persone, ferirne decine di migliaia, uomini, donne e bambini, distruggere la città e i suoi dintorni. L'altra parte è vista come l'incarnazione del male. Il giornalista israeliano Alon Goldstein ha scritto: "Per quanto sia terribile, è anche così semplice: in ogni generazione c'è chi mira ad annientarci perché siamo ebrei. Ora ci troviamo di fronte a creature spregevoli, nazisti reincarnati, Amalek... Israele non deve fermarsi, né battere ciglio, né dubitare e non deve ascoltare nessuno, se non gli occhi dei nostri figli, nipoti e pronipoti... Dobbiamo colpire il nemico arabo con una forza che lo metterà in ginocchio, ferendo ogni famiglia....".

Naturalmente, ci sono anche altri fattori. Più dell'80% degli israeliani incolpa Netanyahu per le evidenti mancanze che hanno permesso l'attacco del 7 ottobre. Sapendo che la sua carriera è finita, lui ha poco interesse a porre fine alla guerra. La guerra fornisce anche una copertura per le mosse in Cisgiordania volte a promuovere la presenza ebraica e a spingere i palestinesi fuori dalla loro terra.


I diplomatici e i politici adesso tornano a proporre la formula dei “due Stati” e provano a ridare credito e peso politico a Fatah e Abu Mazen. Ma questa prospettiva è ancora aperta e possibile?

NEUHAUS: Andrebbe ricordato che nel 1947 le Nazioni Unite hanno deciso la suddivisione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno palestinese. La legittimità dello Stato di Israele si basa sull'istituzione di uno Stato palestinese. Tuttavia, lo Stato palestinese non è mai stato istituito. Oggi 2 milioni di palestinesi sono cittadini di seconda classe in Israele e più di 5 milioni vivono nei territori occupati da Israele dopo la guerra del 1967. Più della metà del popolo palestinese vive in esilio, fuori dalla Palestina storica. Ci sono due popoli, ma un solo Stato.

Negli anni '90, israeliani e palestinesi sembravano aver raggiunto un compromesso. La leadership palestinese in esilio, per lo più Fatah, si trasferì di nuovo in una Palestina che stava prendendo forma in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tuttavia, Israele continuò a costruire insediamenti, controllando la maggior parte del territorio. L'Autorità Palestinese era confinata in aree fortemente popolate. Nel 2005, Israele si è ritirato unilateralmente dalla Striscia di Gaza, un'area densamente sovrappopolata, di cui quasi il 70% è costituito da rifugiati cacciati dallo Stato di Israele nel 1948. La miseria di Gaza è stata un terreno fertile per l'estremismo e Hamas ha preso il controllo della Striscia nel 2007. Nel 2007 Israele ha imposto l'assedio su Gaza, trasformata in quella che è stata definita "una prigione a cielo aperto". Guerre sporadiche sono scoppiate nel 2008, 2012, 2014 e 2021.

Hamas ha espresso una forte opposizione alla soluzione dei due Stati, così come i gruppi estremisti ebraici. Tuttavia, è stato Netanyahu a far fuori concretamente la soluzione dei due Stati, fin dagli anni Novanta. Nel suo attuale governo ci sono coloro che chiedono il trasferimento dei palestinesi oltre i confini, rifiutandosi di riconoscere che sono un popolo. Durante l'ultima tornata di ostilità, un ministero israeliano ha lavorato a un piano per trasferire centinaia di migliaia di palestinesi da Gaza alla penisola del Sinai, governata dall'Egitto.

Parallelamente a questa posizione di durezza, l'Autorità Palestinese, totalmente dipendente dalla benevolenza di Israele, è sprofondata nella corruzione e nella cattiva amministrazione. La sua resurrezione, dopo tanti anni di smantellamento della soluzione dei due Stati e la decadenza dell'Autorità palestinese stessa, potrebbe essere ormai un pio desiderio.


Nella nuova tragedia, come valutare le parole e le opere delle Chiese locali esoprattutto le parole di Papa Francesco?

NEUHAUS: Libera dai vincoli degli interessi politici, la Chiesa può essere profetica, ricordando a tutti che ogni essere umano, sia esso militante di Hamas o colono sionista, è creato a immagine di Dio. La Chiesa può permettersi di essere "ingenua" e promuovere la convinzione che il domani può essere diverso dall'oggi, che gli errori di ieri non devono condizionare il domani. In una lettera indirizzata ai fedeli il 24 ottobre 2023, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha scritto: "Avere il coraggio dell'amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che l'odio, la vendetta, la rabbia e il dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, della nostra parola, del nostro pensiero (...) le nostre parole devono essere creative, vivificanti, devono dare prospettiva e aprire orizzonti".

Con le sue parole, la Chiesa può aprire nuovi orizzonti. In Terra Santa, in Israele e in Palestina, nelle sue istituzioni, nelle sue scuole, negli ospedali, negli orfanotrofi e nelle case, la Chiesa serve tutti, israeliani e palestinesi.

Inoltre, la Chiesa ha portato avanti un discorso sensato su Israele e Palestina fin dagli anni Venti, quando ha messo in discussione la promozione dell'etnocentrismo ebraico in Palestina. La Chiesa deve mantenere questo ruolo importante. Ciò include sia la denuncia del terrorismo di Hamas che la causa di fondo dell'instabilità della regione, come ha fatto il cardinale Pizzaballa nella sua lettera ai fedeli: "Solo ponendo fine a decenni di occupazione e alle sue tragiche conseguenze, nonché dando una prospettiva nazionale chiara e sicura al popolo palestinese, si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolve questo problema alla radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti speriamo. (...) Lo dobbiamo alle tante vittime di questi giorni e a quelle degli anni passati. Non abbiamo il diritto di lasciare questo compito ad altri".


L’editoriale di Haaretz del 6 Novembre (fire Israel Far Right) parla di “Estrema destra messianica e Kahanista” che gode di grande potere adesso in Israele e nel governo israeliano, e guarda a questa guerra come a una chance, una opportunità. Quanto è forte questo fattore nello scenario di guerra e nelle singole scelte del governo israeliano?

NEUHAUS: le pulsioni messianiche hanno afflitto il sionismo fin dalla sua fondazione. L'opposizione ultraortodossa al sionismo lo ha sottolineato fin dall'inizio. La miscela particolarmente tossica di nazionalismo etnocentrico, religione e fondamentalismo biblico è venuta alla ribalta dopo la guerra del 1967. Ignorando il diritto internazionale e i diritti della popolazione palestinese autoctona, i coloni si trasferirono nelle città bibliche appena conquistate, come Hebron e Nablus. Per loro, queste aree erano più preziose di Tel Aviv o Haifa. Percepivano un mandato divino per colonizzarle. Il loro discorso divenne più razzista, le loro azioni più violente. La resistenza palestinese è stata stroncata da un esercito che raramente ha reagito alla violenza dei coloni, anche quando questa metteva in pericolo l'esercito stesso.
L'occupazione israeliana di Gerusalemme Est ha fornito a questi gruppi messianici una particolare visibilità, con il tentativo di imporre una presenza ebraica all'interno dell'Haram al-Sharif, il terzo luogo più sacro dell'Islam. Riferendosi ad esso come al Monte del Tempio, i gruppi ebraici hanno chiesto non solo di pregare lì, ma di ripulirlo dalla presenza non ebraica. I gruppi hanno iniziato a pianificare la costruzione di un Terzo Tempio, per studiare come sacrificare come nell'Antico Testamento. Sempre più israeliani sono entrati nell'Haram per pregare sotto la pesante protezione della polizia e di fronte alle stridenti proteste palestinesi.

Secondo questi gruppi, i palestinesi potrebbero rimanere nella terra d'Israele solo se riconoscessero l'egemonia ebraica. Nell'attuale governo israeliano, i leader di questi gruppi ricoprono ora il ruolo di ministri israeliani, controllando risorse chiave. La politica basata sul nazionalismo estremista spiegato come ardore religioso, sia in Israele che in Palestina, costituisce la più forte opposizione a qualsiasi tipo di risoluzione del conflitto. ((Agenzia Fides 9/11/2023)
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venerdì 22 settembre 2023

Agenzia Fides "Muro di Managua" 21 settembre 2023

 

AMERICA/NICARAGUA - Davanti al "Muro di Managua", la Santa Sede può contare sulla tradizione della sua diplomazia
 
di Victor Gaetan

Il Nicaragua è membro del Mercato comune centroamericano (CACM), che comprende Costa Rica, El Salvador, Guatemala e Honduras. La Cina è il secondo partner commerciale globale del CACM, dopo gli Stati Uniti.

Managua (Agenzia Fides) - La Compagnia di Gesù è l'ultimo bersaglio cattolico del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega.
Il 15 agosto il regime ha ordinato la confisca dell'Università Centroamericana gestita dai gesuiti, prestigiosa istituzione fondata nel 1960. Ha sequestrato proprietà, edifici e conti bancari dell’Università, accusandola di essere un "centro di terrorismo".
L'Agenzia Fides ha riferito dell'escalation di maltrattamenti governativi nei confronti della Chiesa cattolica, tra cui il trattamento punitivo del Vescovo di Matagalpa Rolando José Álvarez Lagos, condannato a più di 26 anni di carcere per alto tradimento; l'espulsione di 18 Missionarie della Carità; la chiusura di emittenti radiofoniche cattoliche; i sacrilegi commessi contro il Santissimo Sacramento per intimidire i fedeli.
Come ha osservato Papa Francesco in un'intervista al sito web argentino Infobae, in questo regime oppressivo c’è come un ritorno al terrore stalinista del 1917 o alla violenza nazista degli anni '30 - un commento che ha ha infiammato Ortega e la sua vicepresidente/moglie, Rosario María Murillo.
Nell’arco di pochi giorni, l'ultimo diplomatico vaticano rimasto a Managua, monsignor Marcel Diouf, è stato espulso e la nunziatura è stata chiusa. Così, la Santa Sede è rimasta senza una rappresentanza diplomatica in Nicaragua proprio quando la Chiesa locale ha più bisogno di aiuto. Se si tien conto che normalmente i nunzi rimangono in carica durante le guerre - come è avvenuto in Iraq e in Siria - la situazione in Nicaragua è insolita.

Il confronto con lo status della Santa Sede a Cuba dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro dimostra quanto il Nicaragua attuale rappresenti un'anomalia, e quanta pressione ci sia sul cardinale arcivescovo Leopoldo Brenes del Nicaragua, l'unico mediatore nel Paese.
La missione primaria del Cardinale Brenes ora deve essere quella di preservare la Chiesa, i suoi sacramenti e la successione apostolica.

Somiglianze e una differenza fondamentale

Come Daniel Ortega, Fidel Castro è stato educato in un prestigioso liceo gesuita. Entrambi sono cresciuti e hanno preso il potere in Paesi a maggioranza cattolica, promettendo vite migliori anche per i fedeli.
Invece, nel consolidare il potere - Castro negli anni '60-'70 e Ortega almeno negli ultimi cinque anni - hanno usato tattiche di repressione simili contro la Chiesa cattolica.
La polizia rastrella gli oppositori, che vengono condannati a lunghe pene detentive o costretti all'esilio. Le folle vengono usate per intimidire e picchiare chiunque osi protestare, creando disordine che diventa un pretesto per un maggiore controllo da parte dello Stato. Gli esponenti in vista della Chiesa vengono definiti "agenti stranieri" e demonizzati per far sì che la gente comune abbia paura persino di andare a Messa.

Anche se la maggior parte delle chiese parrocchiali non viene chiusa, la polizia fa irruzione arbitrariamente nelle chiese e interrompe persino la celebrazione eucaristica.

A Cuba, nei primi dieci anni dopo l'ascesa al potere di Castro, circa 3.500 sacerdoti e suore sono stati imprigionati, uccisi o costretti a lasciare l'isola - la maggior parte di origine straniera, ma anche molti cubani. Seminari, scuole e tutte le altre proprietà cattoliche furono confiscate. Il cardinale Manuel Arteaga y Betancourt, arcivescovo dell'Avana (1941-1963), si rifugiò nell'ambasciata argentina, dove morì.

Tuttavia, Fidel Castro non interruppe mai le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, come fecero i Partiti comunisti dell'Europa orientale e della Cina. Mantenne un ambasciatore presso la Santa Sede a Roma. Grazie alla presenza diplomatica del Vaticano a Cuba, la Chiesa ha potuto gradualmente guadagnare spazio. Tre Papi hanno visitato l'isola per incoraggiare i fedeli.

Opzioni in Nicaragua
Di fronte alla repressione in Nicaragua, quale finale si può immaginare? Molti si aspettano più violenza. Un sogno ad occhi aperti è l’intervento salvifico da parte delle istituzioni occidentali attraverso pressioni e sanzioni. Una terza possibilità è il dialogo con il regime di Ortega e la mediazione per salvare la vita e preservare la Chiesa.

Le aspirazioni di coloro che sono oppressi dagli autocrati sono nobili. Le persone (compresi i vescovi e i fedeli religiosi e laici) chiedono semplicemente la libertà (libertà politica, religiosa, di parola, di riunione), la fine della corruzione e la fine delle tasse arbitrarie. Non sono obiettivi per i quali vale la pena lottare? Certo che lo sono. Ma lo Stato controlla interamente le forze militari e di sicurezza.
Le sanzioni occidentali potrebbero influenzare positivamente la situazione? Probabilmente no. Soprattutto perché Daniel Ortega ha compiuto una spettacolare mossa geopolitica: Nel 2021, dopo aver riconosciuto per decenni Taiwan, ha stabilito relazioni diplomatiche con Pechino. Ha seguito la tendenza prevalente in America centrale: Costa Rica, Guatemala, Panama, El Salvador e Honduras avevano già fatto la stessa cosa.
Dopo gli Stati Uniti, il secondo partner commerciale del Mercato Comune Centroamericano è la Cina, il che significa che il Nicaragua ha la possibilità di investire e commerciare senza vincoli. Può resistere a qualsiasi pressione finanziaria e morale dell'Occidente.

Il martirio della pazienza
I diplomatici cattolici partono dal presupposto che un assassino oggi può sperimentare l'amore di Cristo e diventare un credente domani. Questo atteggiamento è proprio della Bibbia, "Ama il tuo nemico", e orienta il modo in cui la Chiesa tratta i leader politici - anche quelli che ci uccidono e mettono in prigione i nostri vescovi.
Per attivare questa possibilità, gli esponenti della Chiesa devono essere impegnati nel dialogo con i leader politici. Questo è ciò che il cardinale Jamie Ortega Alamino, arcivescovo dell'Avana, ha tentato per circa 38 anni. Ed è questo il ruolo del cardinale arcivescovo Brenes, non quello di inimicarsi ulteriormente il regime.
Una strategia vaticana consueta, specialmente sotto un regime autocratico, è quella di mantenere una presenza e resistere all'essere inghiottiti, lavorando silenziosamente per limitare le tattiche più aggressive dello Stato e cercando di custodire i sacramenti e la successione apostolica.

Spesso il Cardinale Ortega è stato in grado di garantire un sollievo ai perseguitati. Ad esempio, ha negoziato un maggiore accesso alle famiglie dei prigionieri politici e ha coordinato gli aiuti umanitari dall'estero, comprese le medicine, distribuite attraverso la rete Caritas di Cuba.

Il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato sotto Papa Giovanni Paolo II e architetto della diplomazia vaticana con i regimi comunisti, ha definito questo approccio il "martirio della pazienza".

Quattro funzioni

La diplomazia vaticana si articola principalmente intorno a quattro funzioni: Rappresentanza, mediazione, conservazione ed evangelizzazione.
La rappresentanza è la semplice pratica di mandare in tutto il mondo inviati per rappresentare il Papa, avendo esperienza della realtà politica nazionale e della condizione dei vescovi locali in ogni Paese. Questa funzione è stata disabilitata in Nicaragua.
L'arcivescovo di origine polacca Waldemar Sommertag è arrivato a Managua all'inizio del 2018, per rappresentare Papa Francesco come nunzio, e avrebbe dovuto anche aiutare a mediare tra il governo e i capi della Chiesa che si erano posti dalla parte dell'opposizione nelle proteste per gli incendi sospetti nelle regioni indigene, le tasse sulla sicurezza sociale, la soppressione dei media e la brutalità della polizia.

Con il costante aumento del numero di morti, il governo ha accettato un Dialogo Nazionale tenutosi presso il Seminario Nazionale di Nostra Signora di Fatima a Managua nel maggio 2018. L'arcivescovo Leopoldo Brenes è stato al centro dei negoziati, che sono falliti quando le parti non sono riuscite a trovare un accordo sull'agenda.
La violenza si è intensificata nel giro di pochi mesi. Sommertag, Brenes e il vescovo ausiliare di Managua Silvio Baez Ortega, OCD, sono stati tra i religiosi picchiati fisicamente nella città di Diriamba mentre cercavano di proteggere la Basilica di San Sebastiano da una folla istigata dal governo e di proteggere i fedeli che si rifugiavano all'interno.
Le minacce di morte contro Baez sono diventate così intense che la Santa Sede ha chiesto al vescovo carmelitano di venire a Roma nell'aprile 2019. (Baez ora vive e opera come pastore a Miami, in Florida, incoraggiando la sempre più numerosa comunità di esuli nicaraguensi).

Tre anni dopo, il regime di Ortega-Murillo espulse effettivamente Sommertag dandogli una scadenza per lasciare il Paese. Il suo reato? Avrebbe usato il termine "prigionieri politici" per descrivere i cittadini ingiustamente incarcerati per essersi opposti al governo.

L'arcivescovo di Managua rimane solo
Arcivescovo di Managua dal 2004, Papa Francesco ha creato Brenes cardinale dieci anni dopo, soprattutto come riconoscimento per la sua umile dedizione pastorale e la vicinanza ai poveri.
Negli ultimi cinque anni il cardinale Brenes è stato criticato - anche da seminaristi anonimi in una lettera aperta - per la sua timidezza di fronte alla stretta di Ortega sulla Chiesa.
Il Cardinale Brenes è solo: il suo ausiliare più esperto è in esilio; il suo successore naturale (il vescovo di Matagalpa di solito si trasferisce a Managua, come è accaduto allo stesso Brenes) è inghiottito nella prigione di La Modelo, e la nunziatura è chiusa - limitando ad esempio anche la capacità del Vaticano nel negoziare il rilascio di Alvarez.
Il Vescovo Alvarez ha detto che lascerà il Paese solo se il Papa lo richiederà. Papa Giovanni Paolo II fece venir via l'arcivescovo Francisco Ricardo Oves dell'Avana nel 1980, e Papa Paolo VI chiese al cardinale ungherese József Mindszenty di venire a Roma dopo essersi rifugiato nell’Ambasciata USA per 15 anni. Tutti hanno dovuto accettare sacrifici, nelle scelte fatte dalla Santa Sede per far fronte ai regimi comunisti e preservare la Chiesa per l'intera comunità di fedeli.
Nel frattempo, dobbiamo pregare per il cardinale Brenes. Nel tentativo di preservare la Chiesa, l'arcivescovo di Cuba Jamie Ortega ha sempre avuto diplomatici vaticani discreti a cui appoggiarsi, ma Brenes ha poco sostegno locale.
Dietro le quinte, il Papa è sempre al lavoro. Sappiamo che ha attivato il presidente brasiliano Luis Lula da Silva per aiutare a sostenere Alvarez grazie ai rapporti del presidente con Ortega.
Altri tentativi, non possiamo saperlo, ma dobbiamo pregare che abbiano successo.
E comunque vada, lo Spirito Santo è il nostro avvocato. (Agenzia Fides 21/9/2023)

mercoledì 30 agosto 2023

Agenzia Fides 30 agosto 2023

 

AFRICA/GABON - “Libreville “città morta” ma calma dopo il golpe” dicono a Fides fonti locali
 
Libreville (Agenzia Fides) – “Libreville è una città morta. Non vi sono persone o autoveicoli per le strade ma la situazione è comunque calma” dicono all’Agenzia Fides fonti locali dalla capitale del Gabon, dove questa notte i militari hanno annunciato di aver preso il potere con un golpe.
Le nostre fonti, che hanno chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza, ricostruiscono così gli eventi. “Alle due di questa notte la Commissione elettorale annuncia ufficialmente la vittoria del Presidente uscente Ali Bongo Ondimba nelle elezioni presidenziali del 26 agosto con il 64,27%. Subito dopo i militari appaiono alla televisione annunciando di aver deposto Bongo e di avere preso il potere”. “Nella notte si sono sentiti spari, ma da quello che sappiamo si è trattato di colpi esplosi in aria. Non si registrano al momento morti o feriti” affermano le fonti. “È tutto l’esercito, compresa la Guardia Repubblicana, i pretoriani del Presidente, ad avere effettuato il colpo di Stato. Anche gendarmeria e polizia appaiono compatte e unite con i militari” precisano le fonti.
Subito dopo il voto il governo di Bongo aveva imposto il coprifuoco e interrotte le connessioni Internet (vedi Fides 28/8/2023) anche perché il suo principale avversario, Albert Ondo Ossa, aveva denunciato "frodi orchestrate" da parte del campo presidenziale e aveva chiesto di essere dichiarato vincitore al termine dello scrutinio.
“La prima cosa avvenuta subito dopo la presa di potere dei golpisti è stata la ripresa delle comunicazioni Internet” sottolineano le nostre fonti. “La popolazione comunque ha paura, memore delle violenze del 2009 e del 2016 e teme quello che potrà accadere”. Nel loro comunicato i golpisti hanno dichiarato di aver preso il potere con queste parole: “Noi, forze di difesa e sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (CTRI), a nome del popolo gabonese e garante della protezione delle istituzioni, abbiamo deciso di difendere la pace ponendo fine al regime al potere”.
Le elezioni erano un appuntamento atteso con apprensione. Alla vigilia del voto i Vescovi in un messaggio reso pubblico il 23 agosto avevano ribadito che “Le elezioni sono un luogo di espressione della scelta politica di un popolo e sono un segno di legittimità per l'esercizio del potere. Il mancato rispetto della Costituzione nazionale, della legge o del verdetto delle elezioni libere, giuste e trasparenti manifesterebbe un grave fallimento nella governance e significherebbe una mancanza di competenza nella gestione della cosa pubblica". I Vescovi chiedevano di “prevenire litigi e violenze in ogni forma dopo le elezioni”. (L.M.) (Agenzia Fides 30/8/2023)
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ASIA/ MONGOLIA - La “gioia più bella” di padre Marengo. «Guardate a Lui e sarete raggianti»
 
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di Gianni Valente

Ulanbaatar (Agenzia Fides) - «Guardate a Lui e sarete raggianti». Il versetto del Salmo 34 è stato scelto come motto episcopale dal Vescovo Giorgio Marengo, missionario della Consolata e Prefetto apostolico di Ulaanbaatar, creato Cardinale da Papa Francesco nel Concistoro del 27 agosto agosto 2022. Guardando le immagini e ascoltando le parole del secondo video-reportage prodotto per l’Agenzia Fides da Teresa Tseng Kuang yi in vista del viaggio di Papa Francesco in Mongolia (1-4 settembre), il versetto-motto sembra cogliere la cifra intima della vita e dell’avventura missionaria di padre Marengo in Mongolia. Un’avventura in cui le gioie prevalgono in sovrabbondanza sulle fatiche, sulle difficoltà e sullo spettacolo delle proprie povertà. «Io» confessa il Prefetto di Ulaanbaatar fin dai primi passaggi del video «sono grato che il Signore abbia voluto mandarmi qui».

La «gioia più bella» a cui accenna il Cardinale missionario (vedi il video allegato) non nasce dal contemplare con legittima soddisfazione i frutti del proprio lavoro e della propria dedizione. A riempire il cuore di gratitudine più grande è l’aver contemplato l’operare della grazia nel tempo, l’aver visto come «al di là di tutte le nostre difficoltà e le nostre povertà, il Signore si apriva la strada nel cuore di queste persone, che poi hanno deciso di affidarsi a lui». Il contemplare come poi «il Signore guidava la vita di queste persone, in maniera misteriosa e molto personalizzata». Questa - insiste nel video-reportage padre Marengo «è sicuramente la gioia più bella», «Accompagnare le persone nel loro cammino di fede».

Nel video-reportage scorrono ricordi e immagini degli inizi: il primo volo preso a 27 anni da Seul per raggiungere Ulaanbaatar («Sentimmo parlare le hostess in mongolo. Dicevo: chissà se un giorno riusciremo anche noi a imparare questa lingua»), la prima messa “pubblica” celebrata in una Ger, la tradizionale tenda mongola («Quello, me lo ricordo come un momento molto, molto bello»).
Il Cardinale accenna anche alla importante riscoperta della precedente presenza cristiana in territorio mongolo, la vicenda di quella Antica Chiesa d’Oriente, di impronta teologica nestoriana, che nei primi secoli del Medioevo aveva raggiunto anche la Cina: «A noi piace e ci sembra doveroso ricollegarsi a questo passato» annota il Cardinale Marengo «perché a volte il cristianesimo in Mongolia viene considerato come qualcosa di recente, di nuovo e di importato», mentre in Mongolia «In realtà la fede cristiana ha delle radici molto antiche», e «sappiamo anche che nell'epoca del grande impero di Gengis Khan, alcuni condottieri, soldati erano di fede cristiana».
Il Cardinale Marengo accenna anche alle difficoltà e alle fatiche fatte per entrare nella lingua e nella cultura mongola, con la sua «matrice nomadica» così diversa dalle culture europee «sedentarie», e che si riflette anche nel modo di concepire le abitazioni e nella concezione del tempo: per una cultura nomadica «tutto dev'essere trasportabile, leggero e provvisorio», mentre nelle culture sedentarie c’è sempre la tendenza a «costruire cose che rimangono nel tempo».
Lo sguardo attento a cogliere le distinzioni e a trasformarle in reciproco scambio di doni viene applicato da Marengo anche alla sua vicenda personale, e in particolare alla scelta pontificia di crearlo Cardinale, scelta che ha portato nel Collegio Cardinalizio il rappresentante di una Chiesa locale che conta meno di 1500 battezzati.
Con la chiamata a far parte del Collegio dei Cardinali, padre Marengo fa notare che la sua esperienza di pastore di una piccola comunità ecclesiale locale «si allarga anche un po’ all'universalità della Chiesa, per offrire alla Chiesa universale quello che l'esperienza di una Chiesa missionaria così piccola e così nuova può avere». Il Cardinale missionario parla di un «doppio movimento», con il quale «la particolarità di questa Chiesa» viene vissuta «dentro l'universalità della Chiesa cattolica tutta». Il Cardinale coglie anche la convenienza di favorire uno «scambio» propizio tra «la freschezza della fede in un contesto come quello mongolo»e «la ricchezza della tradizione ecclesiale che ci arriva da Chiese con più lunga esperienza».
Questa - sembrano indicare le suggestive parole del Cardinale Marengo - è l’occasione propizia che si affaccia sull’orizzonte del prossimo viaggio di Papa Francesco in Mongolia: suggerire a tutti che ogni Chiesa è sempre Chiesa nascente, dipendente in ogni suo passo dalla grazia di Cristo, e non si “costruisce” per forza propria, anche nei posti in cui si sono alzate cattedrali grandiose e sono sorti Imperi cristiani; ogni Chiesa è “pellegrina” sulla scena di questo mondo, «la cui figura passa» (Paolo VI); ogni Chiesa è nomade, come le genti della Mongolia con le loro tende, sempre in cammino verso il compimento dei tempi.
(Agenzia Fides 25/7/2023)
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ASIA/BANGLADESH - Si aggrava la crisi umanitaria dei Rohingya, mentre prosegue la ricerca di giustizia
 
Cox's bazar (Agenzia Fides) – “A sei anni da quando centinaia di migliaia di Rohingya furono costretti a fuggire dalle loro case in Myanmar per rifugiarsi nel vicino Bangladesh, sottoposti a un’escalation di violenze e atrocità da parte delle forze di sicurezza del Myanmar che hanno provocato la perdita dei loro cari e delle loro case, nessuno è stato ritenuto responsabile di questi crimini", ha dichiarato Nicholas Koumjian, a capo del "Meccanismo investigativo indipendente per il Myanmar", creato nel 2018 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per lavorare a favore della giustizia. L'organismo ha il compito di raccogliere e analizzare le prove dei crimini internazionali più gravi e di altre violazioni del diritto internazionale commessi in Myanmar dal 2011, allo scopo di facilitare giustizia e responsabilità.
"Stiamo raccogliendo testimonianze e altre prove sulla violenza fisica inflitta a tanti Rohingya e abbiamo avviato un’indagine sulle attività commerciali, sulle fattorie e le altre proprietà che sono state loro sottratte. Vogliamo capire se dietro questi crimini c’è una motivazione finanziaria e stabilire chi ha tratto profitto dalla campagna contro i Rohingya", ha affermato Koumjian, lanciando un appello: "Chiediamo agli Stati di fornirci accesso a testimoni e informazioni nei loro territori. Il perseguimento della giustizia per i Rohingya è uno sforzo globale. Solo insieme possiamo garantire che i responsabili ne affrontino le conseguenze e che quanti hanno subito l’orrore di questi crimini abbiano giustizia".
Una richiesta di risarcimento, nel sesto anniversario della tragica operazione in Myanmar, raggiunge anche la nota multinazionale informatica "Meta". In un momento in cui si riflette sulle conseguenze devastanti dell’operazione militare di sei anni fa, la Ong "Amnesty International" solleva una richiesta affinché la società madre di Facebook assuma le responsabilità per il ruolo che la piattaforma ha avuto nella pulizia etnica di questa minoranza perseguitata. Amnesty, grazie alle indagini del suo programma "Big Tech Accountability", mette in luce come gli algoritmi di Facebook e l’inseguimento sfrenato di profitti abbiano contribuito a creare un ambiente tossico in cui l’odio si è radicato, portando a conseguenze tragiche per i Rohingya.
Intanto la situazione dei 700.000 rifugiati Rohingya fuggiti dal Myanmar e presenti oggi in Bangladesh si aggrava: "I rifugiati Rohingya a Cox's Bazar, in Bangladesh, sono completamente dipendenti dagli aiuti, vivono in case temporanee e hanno poca libertà d’azione nella loro vita quotidiana. I rifugiati hanno espresso chiaramente i loro desideri: tutto ciò deve cambiare", afferma il "Norwegian Refugee Council" (NRC), Ong presente in Bangladesh, attiva nell'assistenza ai Rohingya. Insieme con i partner locali la Ong fornisce alloggi, acqua, igiene e servizi igienico-sanitari ed è impegnata a garantire continuità educativa ai rifugiati, raggiungendo oltre 150.000 persone.
“L’ultimo anno - rileva il NCR - ha portato una serie di sfide tra cui un ciclone, incendi e frane. Si è registrato un deterioramento della situazione della sicurezza e due tagli alle razioni alimentari. Questa situazione costringe sempre di più a fare una scelta impossibile: rimanere nei campi e soffrire la prospettiva di malnutrizione e insicurezza o compiere pericolose traversate marittime alla ricerca di una possibilità di autosufficienza e nuova vita".
L'Ong nota che "i rifugiati non possono lavorare in Bangladesh, nonostante le ripetute richieste da parte della popolazione di poter provvedere a se stessi. Così i Rohingya dipendono completamente dai finanziamenti dei donatori per sopravvivere. Tuttavia, gli aiuti disponibili sono appena sufficienti a coprire i bisogni di base, con i finanziamenti per la crisi dei Rohingya in rapida diminuzione a causa delle crisi concorrenti nel mondo". Per allentare la pressione sui campi profughi in Bangladesh, auspica NRC, "è necessario un reinsediamento maggiore ed efficiente dei rifugiati nei paesi terzi".
Nei campi "i bisogni sanitari rimangono enormi e gli aiuti umanitari sono insufficienti", ha confermato “Medici senza Frontiere” (MSF). "A seguito dell’epidemia di scabbia e della chiusura di diversi centri sanitari per mancanza di fondi, nel corso del 2022 l’afflusso di pazienti in uno dei nostri ospedali è aumentato del 50%", rileva l'organizzazione, notando che "le condizioni sono progressivamente peggiorate di anno in anno".
"Le persone continuano a vivere in condizioni di sovraffollamento, in strutture non permanenti ed esposte ad incendi e a disastri naturali, senza la possibilità di spostarsi in aree più sicure e costruire abitazioni. Negli ultimi anni abbiamo registrato un peggioramento delle condizioni sanitarie della popolazione Rohingya, a causa delle pessime condizioni di vita a cui sono costretti", afferma MSF. Nel 2023, nota l'Ong, si registra "una vera e propria emergenza sanitaria", con il più alto aumento settimanale di pazienti affetti da colera dal 2017, mentre già nel 2022 i casi di febbre dengue sono aumentati di dieci volte rispetto all’anno precedente. MSF avverte che anche l'ospedale materno infantile e l'ospedale pediatrico gestiti dall'organizzazione hanno già raggiunto la capacità massima per numero di ricoveri.
"I campi avrebbero dovuto essere una soluzione temporanea ma dopo sei anni continuano ad essere l’unica sistemazione per queste persone. Se le inefficaci strategie di contenimento dei paesi donatori non cambieranno, la popolazione Rohingya continuerà ad essere estremamente vulnerabile alle epidemie di malattie infettive", ha spiegato Arunn Jegan, Capomissione di MSF in Bangladesh.
L'allarme riguarda anche i fondi per l’assistenza umanitaria: "Negli ultimi due anni i fondi stanziati dai paesi delle Nazioni Unite e da cui dipende la vita di circa un milione di Rohingya sono diminuiti gradualmente", rileva MSF, mentre a marzo 2023 le razioni alimentari del Programma Alimentare Mondiale dell'Onu (WFP) sono state ridotte dall’equivalente di 12 dollari al mese per persona a 10 dollari, fino a 8 dollari a giugno: questo ha avito un impatto notevole sui casi di malnutrizione tra le donne in gravidanza e in allattamento e sulla malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni.
(PA) (Agenzia Fides 30/8/2023)

venerdì 25 agosto 2023

Notizie da Vatican News 24 agosto 2023

 

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sabato 3 giugno 2023

A Lignano Sabbiadoro una panchina dedicata a Giulio Regeni(friulioggi.it)

 

A Lignano Sabbiadoro una panchina dedicata a Giulio Regeni

Dal Consiglio comunale dei ragazzi, è nata l’idea di intitolare a Giulio Regeni, una panchina posizionata all’Hub Park di Lignano Sabbiadoro. Tutta gialla, decorata con stormi di rondini e una mano che nei segni dell’antico Egitto significa verità, riporta la frase “la verità è un nostro diritto” ed è opera dei ragazzi della scuola secondaria di primo grado di Lignano.

Giovedì mattina all’inaugurazione, organizzata con la collaborazione del Centro giovani, della Consulta dei giovani e del Club del Libro, erano presenti assieme al sindaco Laura Giorgi e agli assessori Marina Bidin (istruzione) e Alessio Codromaz (politiche sociali e giovanili), i genitori di Giulio Regeni, la mamma Paola Deffendi e il papà Claudio, autori del loro libro “Giulio fa cose” dal quale sono state lette alcune pagine.



mercoledì 17 maggio 2023

Pena di Morte: Rapporto di amnesty

Amnesty international ci informa sulla pena di morte nel mondo, clicca qui se vuoi essere informato




 


mercoledì 8 marzo 2023

ASIA/MYANMAR - Donne e consacrate, da cento anni dalla parte dei poveri 8 marzo 2023

 

ASIA/MYANMAR - Donne e consacrate, da cento anni dalla parte dei poveri
 
Mandalay (Agenzia Fides) - Da cento anni le suore Francescane Missionarie di Maria sono presenti in Myanmar, annunciando il Vangelo con la parola, con la vita e con le opere, sempre e comunque accanto alla popolazione, specialmente ai più poveri e vulnerabili. Lo sono anche oggi, tra pericoli e devastazioni della guerra civile, anche quando rischiano la vita. Solo poco più di un mese fa, il 15 gennaio, l'esercito birmano ha incendiato l'antica chiesa cattolica dell'Assunzione, costruita nel 1894 a Chan Thar, villaggio di cattolici nell'Arcidiocesi di Mandalay, (Nordest del Myanmar) e ha dato alle fiamme anche l'annesso convento delle suore Francescane Missionarie di Maria (FMM) costrette a fuggire insieme con circa 3.000 abitanti del villaggio. Ma, pur addolorate per la distruzione dell'edificio sacro e della loro casa, le religiose hanno notato che “per miracolo, la cappella dell'Adorazione, nella chiesa, non è stata toccata dalle fiamme”, dicendo che “anche in questa violenza brutale e insensata il Signore è sempre con noi”.
Lo spirito delle consacrate è sempre quello di “vivere con la fede, in compagnia di Gesù, nella gioia e dolore, restando accanto alla gente”. Era il 1819 quando le prime Francescane Missionarie di Maria misero piede sul suolo birmano e iniziarono a prendersi cura dei lebbrosi di Mandalay. I sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi (MEP) chiesero il loro aiuto per le opere educative e sociali (assistenza sanitaria, cura dei lebbrosi e dei bambini poveri). Le prime sei suore FMM si stabilirono ufficialmente nell’allora Birmania l'11 febbraio 1923, aprendo il primo piccolo convento dell'Ave Maria a Prang Hkudung, nella diocesi di Banmaw. Nello stato Kachin, nel Nord del Myanmar.
Ben presto aprirono un orfanotrofio per 300 bambini, un centro tessile per giovani ragazze, e altre opere. Impegnate in zone impervie “la vita e l’opera apostolica delle pioniere era davvero faticosa, eppure erano felici di compiere la loro missione", raccontano oggi.
Il percorso missionario di cento anni è stato segnato da prove e ostacoli: con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel 1942 tutti i missionari e le missionarie furono arrestati e detenuti nelle carceri di Banmaw e Mandalay. Ma, dopo la guerra, Madre Francisca e altre quattro religiose e ripresero il lavoro a Hkudung. Un altro momento critico fu la guerra civile del 1962-63, quando le suore dovettero subire stenti e disagi e quando, nel 1966, tutti i missionari stranieri furono espulsi dal Myanmar.
Nonostante tutte le difficoltà, e soprattutto per il grande amore verso il popolo birmano, la missione delle Francescane Missionarie di Maria è giunta fino a giorni nostri, mentre le suore – ormai radicate nella nazione, dove risiedono in una ventina di conventi - offrono conforto e sostegno concreto agli sfollati, vittime del conflitto civile e si prendono cura degli emarginati, dei disabili, dei malati.
In condizione di disagio e povertà, la suore FMM hanno celebrato il loro servizio di 100 anni nella parrocchia di Prang Hkudung: l’11 febbraio scorso, accanto a mons. Raymond Sumlut Gam, vescovo della diocesi di Banmaw, sacerdoti, religiosi e oltre 1500 fedeli hanno partecipato alla messa giubilare di ringraziamento per il Centenario, nella Chiesa dell'Immacolata Concezione. E solo un anno fa, grazie alla presenza di nuove religiose birmane, è stato aperto un nuovo convento delle Francescane Missionarie di Maria nel villaggio di Htang Nya, una zona remota, al confine con la Cina, sempre nella diocesi di Banmaw. L’opera pastorale e missionaria delle consacrate, sempre affidata al Signore, continua.
(PA) (Agenzia Fides 8/3/2023)